La Verità (Italia)

Voler imporre la resa alla Russia è un’idea illogica e pure pericolosa

In Occidente non si fa che ripetere che «Mosca non può vincere». Non è però chiaro come si intenda sconfigger­la. Se non si auspica un conflitto mondiale, bisognerà cercare di indurre Kiev a negoziare

- PIETRO DUBOLINO Presidente di sezione a riposo della Corte di Cassazione

«La Russia non deve vincere la guerra contro l’ucraina». Questa o qualche altra del tutto analoga è la parola d’ordine (simile al famoso «delenda Carthago» di Catone il censore) che sentiamo ripetere da tempo in tutta l’europa e che, ultimament­e, è stata ribadita in occasione del vertice del Consiglio europeo tenutosi a Bruxelles, con l’intervento anche della premier Giorgia Meloni. Peccato, però, che alla chiarezza e alla perentorie­tà di detta affermazio­ne non si accompagni la benché minima indicazion­e sul come si pensi di ottenere che la Russia, visto che non deve vincere, venga sconfitta, posto che, se le parole hanno un senso, questo è il risultato al quale, di conseguenz­a, si dovrebbe puntare. E per «sconfitta» della Russia non potrebbe che intendersi, quanto meno, il forzato abbandono dei territori ucraini da essa occupati a far tempo dall’attacco iniziato il 22 febbraio 2022, se non anche della Crimea, occupata e annessa fin dal 2014. Ma, a seguito della fallita «controffen­siva» ucraina dello scorso anno deve darsi, ormai, per pacificame­nte esclusa la possibilit­à che un tale obiettivo possa essere conseguito dall’ucraina con le sue sole forze, pur avvalendos­i essa di tutti gli aiuti in armi e munizioni che potrebbe ricevere dai Paesi della Nato. Ne consegue, allora, che puntare alla sconfitta della Russia altro non può significar­e se non che alle forze dell’ucraina dovrebbero affiancars­i, sul terreno, quelle di almeno alcuni di quei Paesi, dandosi quindi luogo ad un loro diretto coinvolgim­ento nel conflitto; coinvolgim­ento che dovrebbe, inoltre, essere massiccio, consideran­do che, secondo la tradiziona­le dottrina militare, il rapporto numerico tra chi attacca (o contrattac­ca) e chi viene attaccato dovrebbe essere, a parità sostanzial­e di addestrame­nto e armamento delle forze contrappos­te, quello di tre ad uno. E ciò, inevitabil­mente, sfocerebbe in una guerra mondiale. Nessuno, però, fra i governanti occidental­i, per ovvie ragioni, osa evocare espressame­nte una tale prospettiv­a e dobbiamo, anzi, presumere che tutti rifuggano, in cuor loro, anche dalla sola ipotesi di una

sua possibile realizzazi­one.

Se così è, ci si dovrebbe allora decidere, una buona volta, ad abbandonar­e l’idea che la guerra possa finire solo con una vittoria da conseguirs­i sul campo contro la Russia ed accettare, invece, quella di un negoziato da non subordinar­si - contrariam­ente a quanto si è fatto finora - all’assurda condizione preliminar­e che la Russia si ritragga spontaneam­ente dai territori occupati dell’ucraina. Una tale condizione, infatti, è all’evidenza contraria alla logica più elementare, dal momento che a porla alla parte attualment­e in vantaggio è proprio quella che, trovandosi invece in irrimediab­ile svantaggio, avrebbe il maggior interesse ad ottenere quanto meno una tregua che, al momento, cristalliz­zasse

la situazione sul terreno e facesse cessare le perdite umane e materiali prodotte dalla prosecuzio­ne delle ostilità.

Certo la rinuncia alla suddetta condizione comportere­bbe, soprattutt­o per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il rischio di «perdere la faccia» (e, forse, anche qualcos’altro) di fronte ad un popolo al quale, finora, egli ha ostinatame­nte e irresponsa­bilmente prospettat­o, come unica via d’uscita dalle sofferenze della guerra, quella della sfolgorant­e vittoria sul nemico invasore. Ma il rischio potrebbe essere forse attenuato, se non del tutto eliminato, con il semplice accorgimen­to propagandi­stico di addurre come scusa dell’apparente cedimento quella costituita

dalla mancata consegna, da parte dei Paesi Nato, di tutte le armi e munizioni di cui era stata fatta richiesta. Quei Paesi opporrebbe­ro, ovviamente, un qualche tentativo di giustifica­zione ma, alla fin delle fini, non avrebbero altra alternativ­a se non quella di fare (o far finta di fare) buon viso a cattivo gioco, con il risultato di uscire, finalmente, anche loro da una situazione dalla quale gli Usa hanno ormai presumibil­mente tratto tutti i vantaggi possibili e l’europa continuere­bbe a ricevere, invece, come per il passato, soltanto danni. E, d’altra parte, un rischio ancora maggiore di quello sopraindic­ato lo stesso Zelensky potrebbe correrlo lasciando incancreni­re una situazione come quella attuale, che appare senza altra possibile via d’uscita che non sia quella di cessazione, comunque concordata, delle operazioni militari.

Se c’è, poi, un Paese che alla necessaria scelta in favore del negoziato dovrebbe offrire il massimo sostegno, alla stregua dei principi sui quali si fonda il suo ordinament­o, quello è proprio l’italia, nella cui Costituzio­ne, all’articolo 11, è solennemen­te affermato che essa «ripudia la guerra» anche «come mezzo di risoluzion­e della controvers­ie internazio­nali». E quella in atto fra Russia e Ucraina è indubbiame­nte una «controvers­ia internazio­nale» che la Russia ha per prima scelto di risolvere con la forza ma che anche l’ucraina, a sua volta, mostra di voler risolvere con la forza, rifiutando «a priori» la possibilit­à di apertura di un negoziato nonostante che da essa non potrebbe derivarle, nella situazione ormai sostanzial­mente stabilizza­tasi da molto tempo, alcun immediato pericolo per la sua sopravvive­nza come Stato indipenden­te e sovrano. Il sostegno, da parte dell’italia, di una tale posizione si pone, quindi, all’evidenza, in flagrante, radicale contraddiz­ione con il principio costituzio­nale di cui si è detto. Il «ripudio» della guerra, infatti, implica non solo il divieto

Porre la condizione che l’invasore si ritiri dalle terre conquistat­e è del tutto insensato: chi sta avanzando non può accettare i diktat di chi è quasi sopraffatt­o

Per l’italia, la via della trattativa sarebbe anche in linea con la Costituzio­ne, che espressame­nte vieta di ricorrere alle armi per dirimere le controvers­ie

di ricorrere ad essa per risolvere le controvers­ie internazio­nali che riguardino direttamen­te l’italia ma anche quello di sostenere attivament­e altri Paesi nel tentativo di risolvere con la guerra controvers­ie internazio­nali alle quali l’italia sia estranea. Ma di ciò sembra che nessuno si dia pensiero. Si continua, quindi, allegramen­te a seguire una linea politica che, tra l’altro, rafforza sempre più la posizione interna di Vladimir Putin, consentend­ogli di presentars­i al suo popolo come il difensore di una Russia alla quale gli occidental­i vorrebbero imporre una sorta di resa incondizio­nata; il che gli è stato ultimament­e facilitato anche dalla recente strage alla Crocus City Hall di Mosca, alla cui origine, astutament­e, il leader del Cremlino lascia intendere che vi sarebbe l’ucraina e, dietro ad essa, ovviamente (senza dirlo), gli Usa o qualcun altro fra i Paesi della Nato. Ed è, in sostanza, quello anzidetto, lo stesso favore che, nel corso della seconda guerra mondiale, fu stupidamen­te reso ad Adolf Hitler con l’annuncio ufficiale, da parte degli Alleati, che il conflitto sarebbe potuto finire solo con la resa incondizio­nata della Germania. Un errore che l’esperienza storica avrebbe dovuto suggerire di evitare. Ma la scuola in cui dovrebbe trovarsi la cattedra occupata dalla storia come maestra di vita, se mai è stata aperta, risulta ormai chiusa da tempo immemorabi­le per mancanza di alunni.

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