I civili uccisi a via Rasella restano ancora dei fantasmi
La giunta Gualtieri rinuncia alla targa: «Gli abitanti non la vogliono». Ma in quella strada c’è un edificio pubblico: mettetela lì
Contrordine, come da copione. A via Rasella l’amministrazione Gualtieri non apporrà la targa per ricordare le vittime civili dell’attentato compiuto dai Gap del Partito comunista il 23 marzo 1944, al quale il giorno dopo seguì la carneficina nazista delle Ardeatine. Anzi, non metterà proprio nulla. L’iniziativa dell’assessore alla Cultura, Miguel Gotor, che avrebbe voluto ricordare «tutti i protagonisti della vicenda» (ebbene sì: anche i 32 soldati del battaglione Bozen...), è rimasta una pia intenzione. Causa, dice l’assessore: «I proprietari degli immobili non vogliono».
Procediamo con ordine. Si ripete il copione già visto con Gianni Alemanno sindaco, che 14 anni fa avrebbe voluto ricordare Piero Zuccheretti, dilaniato dalla bomba a 12 anni. Anche allora l’ostacolo insormontabile fu «l’indisponibilità dei proprietari», timorosi di eventuali atti violenti. Ci si dovette accontentare di una targa appesa nella vicina via Quattro fontane, sul muro dell’hotel anglo-americano (che sia zona extraterritoriale?). Nessun riferimento al bambino, né al capopartigiano di Bandiera rossa, anche lui deceduto per «scoppio di bomba», Antonio Chiaretti.
Il veto della memoria e dei veri negazionisti è calato ancora. Questa volta nella ricorrenza degli 80 anni. Eppure il gesto della giunta Gualtieri ha un suo peso, enorme. L’assessore Gotor non è solo un politico ma anche uno storico apprezzato. Sa di cosa parla. Per la prima volta il Campidoglio conferma ufficialmente la presenza di vittime civili nell’azione dei Gap, sempre negata. Nelle settimane precedenti Gotor, rispondendo alle ennesime richieste di alcuni parenti delle vittime, dichiarava: «Sarebbe nostra intenzione collocare una targa su uno degli edifici che si affacciano sulla via». Ma anche Gotor ha dovuto alzare le mani. «Abbiamo fatto svariati incontri», fa sapere con rammarico l’assessore, «ma non è stato possibile convincere i proprietari degli edifici a concedere il permesso per la targa». Al momento non è dato sapere quali siano le proprietà interpellate.
IPOCRISIA
Gotor comunque si è spinto oltre. La sua idea sarebbe stata quella di ricordare anche i poliziotti alto atesini del Bozen, maciullati come bambole di pezza dall’ordigno dei gappisti. «Un gesto che voleva essere di compassione umana», precisa l’assessore.
I parenti delle vittime protestano e si sentono beffati. «La mia domanda è una sola: perché giustamente si ricordano le vittime dirette delle Fosse Ardeatine e ci si dimentica sempre delle vittime indirette, diciamo così, di via Rasella?», dice Carlo Ciambella. Il nonno Orfeo, custode del magazzino della Croce rossa, che si trovava a Palazzo Tittoni, proprio davanti al punto in cui esplose il carretto da spazzino dei Gap, rimase gravemente ferito, al punto «da essere dato per morto»: «Io non voglio fare polemica con nessuno, non ho interessi politici di sorta. Voglio solo rendere giustizia a mio nonno, vittima dell’attaccamento all’incarico assegnatogli. Da 80 anni si è lasciata la facciata di uno dei palazzi di Via Rasella traforata dai colpi di mitraglia: anche questo allora avrebbe potuto dare spunto per attentati. I fori sì e la targa no?».
È d’accordo Luigi Iaquinti, nipote di Antonio Chiaretti: «Se si ricordano le vittime delle Ardeatine, bisogna ricordare anche quelle del tutto inconsapevoli di via Rasella». Liana Gigliozzi, figlia del barista di via Rasella trucidato alle Ardeatine, non ha mai smesso di volere la verità: «Non si vuole che ricordiamo e che la gente vada a portare un fiore. Chi ha ancora paura dei fantasmi di via Rasella?», chiede.
Ps. Ho un piccolo suggerimento che mi permetto di sottoporre all’assessore Gotor. Al numero 41 della strada - poche decine di metri da dove era stato piazzato il carrettino e mentre tutt’intorno pullulava di gappisti - allora c’era una caserma della polizia, la Pai (Polizia dell’africa italiana). È ancora un edificio adibito a uffici, dall’aria anonima e semiabbandonata, affittato al Viminale o addirittura di proprietà del ministero dell’interno, fino a pochi anni fa utilizzato come una delle sedi dei nostri servizi segreti. Anche questo è «indisponibile»?