Prezzolini e i padri nobili del nostro giornalismo
Alla haah, Haid nui, Aa Harree, solo per citarne tre - risultano in una lingua sconosciuta e fittizia. Si potrebbero evocare avanguardie artistiche come il dadaismo, o lo slittamento metonimico dello psicanalista Jacques Lacan. Tuttavia, a prescindere, ogni ascoltatore ne riceverà le proprie, intime emozioni. Potrebbe essere questo il post-moderno nel percorso dell’artista nata a Genova nel novembre 1952, che, dopo aver iniziato come solista nel 1974, ottenne un folgorante successo con i Matia Bazar, fase che potrebbe essere catalogata come pop moderno, con tanto di vittoria a Sanremo nel 1978 con …E dirsi ciao, premio della critica, sempre all’ariston, nel 1983 con Vacanze romane, con acconciatura anni Quaranta, e, nel 1985 con Souvenir. Ma, di questo periodo, si ricordano anche Solo tu, Per un’ora d’amore e varie altre, come Ti sento, quest’ultima esplosiva per le sue doti vocali da soprano leggero, a più riprese riproposta. Come Jack Frusciante, uscì dal gruppo nel 1989 e, dopo una lunga pausa, tornò solista, con l’album Libera del 1996. Svariate le sue rivisitazioni di canzoni di cantautori, testi di musica sacra, soul, blues, fado portoghese.
Ci racconta di Altrevie, incontro tra la sua voce e le armonizzazioni e gli arrangiamenti di Roberto Colombo?
«È un tipo di lavoro che non abbiamo mai fatto prima, ma forse Roberto spiegherà meglio, tecnicamente, come sono andate le cose, perché l’idea iniziale è stata sua. (interviene Roberto Colombo): «L’idea, nata nel dicembre 2022, è stata quella di riversare al contrario la voce del primo prodotto di Antonella da solista, Libera, con una tecnica, chiamata reverse, che si utilizzava negli anni ’60-’70: quando i nastri andavano a fine corsa si ri-registrava la traccia al contrario, poi riproducendola nel verso giusto. L’effetto è come arrivasse da un’altra parte del mondo».
Roberto Colombo, si legge nella cartella stampa che il reverse fu utilizzato da note band, come i Beatles, i Byrds, i Jefferson Airplane, influenzando il rock psichedelico dei
Antonella, ascoltando le tracce del cd, viene da pensarle come parti di colonne sonore di film visionari, tipo Blade Runner di Scott, Fino alla fine del mondo di Wenders, Nirvana di Salvatores...
«È assolutamente vero. I 12 brani sono come piccole colonne sonore che danno modo a ciascuno di noi, secondo la sua sensibilità, il vissuto, la personalità, di immaginare. Lei è entrato proprio in quei mondi immaginari legati alle colonne sonore di grandi film. Io associo questa musica anche ai grandi documentari sulla natura o come accompagnamento alle immagini di atleti di sport individuali, soprattutto alle Olimpiadi».
E se un regista si accorgesse di questa musica e ne chiedesse i diritti per un film?
«Lei ha citato Wim Wenders, un regista che mi è sempre piaciuto molto, in particolare il suo film Il cielo sopra Berlino. Sarebbe bello che potesse accadere».
Questo progetto non si limita all’album sonoro ma lo collega alla carta e al web.
«Collegare la musica all’editoria artistica e alla carta, è una mia passione. Io nasco come grafica, prima di fare la cantante, una cosa che mi è sempre rimasta. Mi sono avvicinata a “Libri finti clandestini”, che trasformano libri antichi in opere su carta. Ho dato loro 110 libri della mia collezione personale: libri d’epoca, dalla fine dell’800 agli anni ’40 del ’900, dedicati all’infanzia e all’adolescenza. Con una scelta curata delle pagine hanno fatto la copertina del cd e un libretto. Tutto sarà sul sito altrevie.antonellaruggiero.com».
Non abbiamo ancora detto che il musicista Roberto Colombo, oltre ad essere suo produttore discografico, è anche suo marito. Come e quando vi siete incontrati?
«Nel 1982. Lui è stato il produttore dei Matia Bazar in Tango e Aristocratica, forse i due album che ho amato di più di quei 14 anni con il gruppo. Con arrangiamenti di brani come Vacanze romane e altri, ci siamo conosciuti, ma solo a livello professionale. Poi, con il tempo, è avvenuto qualcos’altro…».
Com’è lavorare intensamente insieme tra marito e moglie entrambi artisti? «Dal momento che vediamo la vita, le cose e la musica più o meno nello stesso modo, non ci sono contrasti e soprattutto, tra noi, c’è complicità e amicizia, come due persone con una loro singola personalità che si sono incontrati. Tensioni sul lavoro mai… Magari per qualche stupidaggine quotidiana… Lavoriamo in maniera molto artigianale. Questa parola, artigianato, è sottovalutata, ma importantissima».
Avete un figlio, Gabriele, nato nel 1990. Di cosa si occupa?
«Dopo il dottorato in filosofia alla Statale di Milano è andato a Berlino, lavorando a progetti europei per il disagio giovanile. Lavora anche con noi, fa cose bellissime, ha collaborato anche per la realizzazione di Altrevie».
E le sue canzoni con i Matia Bazar le ha ascoltate?
«Immagino di sì (sorride). Ha gusti musicali che lo avvicinano stranamente a quello che ascoltavamo noi quando avevamo la sua età, il prog (rock progressivo, ndr.) italiano e
Marcello Veneziani nel suo articolo molto interessante pubblicato ieri, in cui cita anche il libro Le due voci che ho appena pubblicato assieme a mio fratello Alberto, sottolinea il fatto che Giuseppe Prezzolini non avesse mai scritto un articolo sul Giornale del suo allievo Indro Montanelli dopo il suo rientro dagli Stati Uniti. Per quale motivo? Tanti anni fa, lo chiesi direttamente a Montanelli e la sua risposta dissolse tutti i miei dubbi: «Per farlo collaborare mi sono messo persino in ginocchio. Ma lui mi disse sempre di no, con questa motivazione: “Quando arrivai in Italia il solo quotidiano che mi offrì una collaborazione fu il Resto del Carlino e io resterò per sempre fedele al quotidiano di Bologna che mi ha dato da vivere”. L’unica concessione che mi fece fu quella di collaborare al Borghese di Longanesi che non era un quotidiano e proprio Leo mi chiese di andare a New York per straniero, ma senza che gli indicassimo alcuna strada». Dove vivete?
«Da vent’anni ci dividiamo tra Berlino e un’area bellissima e poetica della Brianza, all’interno di un parco regionale, dove siamo immersi nella natura, ma anche a Berlino lo siamo».
Iniziò come solista nel 1974, cantando La strada del perdono e firmandosi Matia. Perché Matia?
«Volevo uno pseudonimo che potesse essere sia maschile sia femminile, come Andrea. Scelsi Matia. I discografici e i ragazzi furono d’accordo».
Poi iniziò a far successi con i Matia Bazar. Perché Bazar? «Perché eravamo cinque personalità molto creative che facevano musica insieme con molta energia, un bazar di musica, idee, strumenti suonati e convincerlo a scrivere per noi». Resta il fatto che Indro continuò a considerare Prezzolini e Longanesi i suoi veri maestri.
Grazie per l’informazione, Giancarlo. Ne prendo atto ma a essere sincero, non mi convince del tutto, soprattutto perché postuma e perché Prezzolini era ansioso di scrivere fino alla fine «articoli alimentari» come lui diceva, non si sarebbe sottratto alla proposta, se fosse stata adeguata. Ma in quel tempo, il Giornale preferì, come si raccontava dal suo interno, evitare un Prezzolini che scriveva sul Borghese di Mario Tedeschi e su la Destra; fu imposto pure lo pseudonimo a un’altra firma compromettente del Borghese, Piero Buscaroli, che si firmò per anni Piero Santerno. Solo post mortem Prezzolini diventò padre putativo del giornale montanelliano.
Lei è religiosa?
«Io quel che vedo costantemente è la meraviglia della natura - e questa non è retorica come una foglia di pianta con le sue nervature e penso «chi l’ha fatta?». Ma non ho risposte, ovviamente possiamo associare la natura a Dio, ma la religiosità, in quanto seguace di qualcosa, questo no. Però entro in solitudine in vari luoghi dove si parla di spiritualità, della nostra cultura o di posti lontani, basta che siano posti dove si respira un senso di pace e non di fanatismo».
A che età è stata consapevole di avere questa stupenda voce?
«Sin da bambina, ho sempre avuto, sì la voce, ma non avrei mai pensato di fare questo mestiere. Pensavo di dedicarmi al disegno, alla grafica, all’arte visuale. Ho sempre ascoltato la musica di vari generi perché i miei genitori - io sono figlia unica - l’hanno sempre amata, ma ho incominciato a salire sul palco con la conoscenza dei ragazzi del gruppo e da lì è partita la mia storia».
Utilizza particolari accortezze per proteggere la voce?
«Cerco solo di stare attenta, cose semplici e banali, non prendere freddo durante la giornata dei concerti, parlare il meno possibile e a voce bassa per non affaticarla, non fumare…».