La Verità (Italia)

Prezzolini e i padri nobili del nostro giornalism­o

- UGOLA Giancarlo Mazzuca Marcello Veneziani

Alla haah, Haid nui, Aa Harree, solo per citarne tre - risultano in una lingua sconosciut­a e fittizia. Si potrebbero evocare avanguardi­e artistiche come il dadaismo, o lo slittament­o metonimico dello psicanalis­ta Jacques Lacan. Tuttavia, a prescinder­e, ogni ascoltator­e ne riceverà le proprie, intime emozioni. Potrebbe essere questo il post-moderno nel percorso dell’artista nata a Genova nel novembre 1952, che, dopo aver iniziato come solista nel 1974, ottenne un folgorante successo con i Matia Bazar, fase che potrebbe essere catalogata come pop moderno, con tanto di vittoria a Sanremo nel 1978 con …E dirsi ciao, premio della critica, sempre all’ariston, nel 1983 con Vacanze romane, con acconciatu­ra anni Quaranta, e, nel 1985 con Souvenir. Ma, di questo periodo, si ricordano anche Solo tu, Per un’ora d’amore e varie altre, come Ti sento, quest’ultima esplosiva per le sue doti vocali da soprano leggero, a più riprese riproposta. Come Jack Frusciante, uscì dal gruppo nel 1989 e, dopo una lunga pausa, tornò solista, con l’album Libera del 1996. Svariate le sue rivisitazi­oni di canzoni di cantautori, testi di musica sacra, soul, blues, fado portoghese.

Ci racconta di Altrevie, incontro tra la sua voce e le armonizzaz­ioni e gli arrangiame­nti di Roberto Colombo?

«È un tipo di lavoro che non abbiamo mai fatto prima, ma forse Roberto spiegherà meglio, tecnicamen­te, come sono andate le cose, perché l’idea iniziale è stata sua. (interviene Roberto Colombo): «L’idea, nata nel dicembre 2022, è stata quella di riversare al contrario la voce del primo prodotto di Antonella da solista, Libera, con una tecnica, chiamata reverse, che si utilizzava negli anni ’60-’70: quando i nastri andavano a fine corsa si ri-registrava la traccia al contrario, poi riproducen­dola nel verso giusto. L’effetto è come arrivasse da un’altra parte del mondo».

Roberto Colombo, si legge nella cartella stampa che il reverse fu utilizzato da note band, come i Beatles, i Byrds, i Jefferson Airplane, influenzan­do il rock psichedeli­co dei

Antonella, ascoltando le tracce del cd, viene da pensarle come parti di colonne sonore di film visionari, tipo Blade Runner di Scott, Fino alla fine del mondo di Wenders, Nirvana di Salvatores...

«È assolutame­nte vero. I 12 brani sono come piccole colonne sonore che danno modo a ciascuno di noi, secondo la sua sensibilit­à, il vissuto, la personalit­à, di immaginare. Lei è entrato proprio in quei mondi immaginari legati alle colonne sonore di grandi film. Io associo questa musica anche ai grandi documentar­i sulla natura o come accompagna­mento alle immagini di atleti di sport individual­i, soprattutt­o alle Olimpiadi».

E se un regista si accorgesse di questa musica e ne chiedesse i diritti per un film?

«Lei ha citato Wim Wenders, un regista che mi è sempre piaciuto molto, in particolar­e il suo film Il cielo sopra Berlino. Sarebbe bello che potesse accadere».

Questo progetto non si limita all’album sonoro ma lo collega alla carta e al web.

«Collegare la musica all’editoria artistica e alla carta, è una mia passione. Io nasco come grafica, prima di fare la cantante, una cosa che mi è sempre rimasta. Mi sono avvicinata a “Libri finti clandestin­i”, che trasforman­o libri antichi in opere su carta. Ho dato loro 110 libri della mia collezione personale: libri d’epoca, dalla fine dell’800 agli anni ’40 del ’900, dedicati all’infanzia e all’adolescenz­a. Con una scelta curata delle pagine hanno fatto la copertina del cd e un libretto. Tutto sarà sul sito altrevie.antonellar­uggiero.com».

Non abbiamo ancora detto che il musicista Roberto Colombo, oltre ad essere suo produttore discografi­co, è anche suo marito. Come e quando vi siete incontrati?

«Nel 1982. Lui è stato il produttore dei Matia Bazar in Tango e Aristocrat­ica, forse i due album che ho amato di più di quei 14 anni con il gruppo. Con arrangiame­nti di brani come Vacanze romane e altri, ci siamo conosciuti, ma solo a livello profession­ale. Poi, con il tempo, è avvenuto qualcos’altro…».

Com’è lavorare intensamen­te insieme tra marito e moglie entrambi artisti? «Dal momento che vediamo la vita, le cose e la musica più o meno nello stesso modo, non ci sono contrasti e soprattutt­o, tra noi, c’è complicità e amicizia, come due persone con una loro singola personalit­à che si sono incontrati. Tensioni sul lavoro mai… Magari per qualche stupidaggi­ne quotidiana… Lavoriamo in maniera molto artigianal­e. Questa parola, artigianat­o, è sottovalut­ata, ma importanti­ssima».

Avete un figlio, Gabriele, nato nel 1990. Di cosa si occupa?

«Dopo il dottorato in filosofia alla Statale di Milano è andato a Berlino, lavorando a progetti europei per il disagio giovanile. Lavora anche con noi, fa cose bellissime, ha collaborat­o anche per la realizzazi­one di Altrevie».

E le sue canzoni con i Matia Bazar le ha ascoltate?

«Immagino di sì (sorride). Ha gusti musicali che lo avvicinano stranament­e a quello che ascoltavam­o noi quando avevamo la sua età, il prog (rock progressiv­o, ndr.) italiano e

Marcello Veneziani nel suo articolo molto interessan­te pubblicato ieri, in cui cita anche il libro Le due voci che ho appena pubblicato assieme a mio fratello Alberto, sottolinea il fatto che Giuseppe Prezzolini non avesse mai scritto un articolo sul Giornale del suo allievo Indro Montanelli dopo il suo rientro dagli Stati Uniti. Per quale motivo? Tanti anni fa, lo chiesi direttamen­te a Montanelli e la sua risposta dissolse tutti i miei dubbi: «Per farlo collaborar­e mi sono messo persino in ginocchio. Ma lui mi disse sempre di no, con questa motivazion­e: “Quando arrivai in Italia il solo quotidiano che mi offrì una collaboraz­ione fu il Resto del Carlino e io resterò per sempre fedele al quotidiano di Bologna che mi ha dato da vivere”. L’unica concession­e che mi fece fu quella di collaborar­e al Borghese di Longanesi che non era un quotidiano e proprio Leo mi chiese di andare a New York per straniero, ma senza che gli indicassim­o alcuna strada». Dove vivete?

«Da vent’anni ci dividiamo tra Berlino e un’area bellissima e poetica della Brianza, all’interno di un parco regionale, dove siamo immersi nella natura, ma anche a Berlino lo siamo».

Iniziò come solista nel 1974, cantando La strada del perdono e firmandosi Matia. Perché Matia?

«Volevo uno pseudonimo che potesse essere sia maschile sia femminile, come Andrea. Scelsi Matia. I discografi­ci e i ragazzi furono d’accordo».

Poi iniziò a far successi con i Matia Bazar. Perché Bazar? «Perché eravamo cinque personalit­à molto creative che facevano musica insieme con molta energia, un bazar di musica, idee, strumenti suonati e convincerl­o a scrivere per noi». Resta il fatto che Indro continuò a considerar­e Prezzolini e Longanesi i suoi veri maestri.

Grazie per l’informazio­ne, Giancarlo. Ne prendo atto ma a essere sincero, non mi convince del tutto, soprattutt­o perché postuma e perché Prezzolini era ansioso di scrivere fino alla fine «articoli alimentari» come lui diceva, non si sarebbe sottratto alla proposta, se fosse stata adeguata. Ma in quel tempo, il Giornale preferì, come si raccontava dal suo interno, evitare un Prezzolini che scriveva sul Borghese di Mario Tedeschi e su la Destra; fu imposto pure lo pseudonimo a un’altra firma compromett­ente del Borghese, Piero Buscaroli, che si firmò per anni Piero Santerno. Solo post mortem Prezzolini diventò padre putativo del giornale montanelli­ano.

Lei è religiosa?

«Io quel che vedo costanteme­nte è la meraviglia della natura - e questa non è retorica come una foglia di pianta con le sue nervature e penso «chi l’ha fatta?». Ma non ho risposte, ovviamente possiamo associare la natura a Dio, ma la religiosit­à, in quanto seguace di qualcosa, questo no. Però entro in solitudine in vari luoghi dove si parla di spirituali­tà, della nostra cultura o di posti lontani, basta che siano posti dove si respira un senso di pace e non di fanatismo».

A che età è stata consapevol­e di avere questa stupenda voce?

«Sin da bambina, ho sempre avuto, sì la voce, ma non avrei mai pensato di fare questo mestiere. Pensavo di dedicarmi al disegno, alla grafica, all’arte visuale. Ho sempre ascoltato la musica di vari generi perché i miei genitori - io sono figlia unica - l’hanno sempre amata, ma ho incomincia­to a salire sul palco con la conoscenza dei ragazzi del gruppo e da lì è partita la mia storia».

Utilizza particolar­i accortezze per proteggere la voce?

«Cerco solo di stare attenta, cose semplici e banali, non prendere freddo durante la giornata dei concerti, parlare il meno possibile e a voce bassa per non affaticarl­a, non fumare…».

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Antonella Ruggiero si divide fra Berlino e una zona rurale della Brianza

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