Salta il cessate il fuoco. Per colpa di Biden
Dopo l’astensione Usa sulla risoluzione Onu, confermato il ritiro della delegazione in partenza per Washington. Hamas minaccia: «Nessuna tregua senza l’addio alla Striscia». Per Gerusalemme va fermato l’iran che trama per «destabilizzare il Medio Oriente»
L’astensione degli Stati Uniti dal voto alla risoluzione Onu sul cessate il fuoco a Gaza ha prodotto una serie inarrestabile di conseguenze. Una scelta senza precedenti quella di Washington presa evidentemente per ragioni elettorali la cui portata, forse, non era stata compresa realmente neanche dagli stessi attori che l’hanno operata.
Fino a ieri infatti tutto si era svolto in un perfetto equilibrio che ha visto porre il veto di Cina e Russia ogni qualvolta ci fosse una risoluzione proposta da forze opposte alla loro, schema replicato al contrario dagli Stati Uniti che hanno sfruttato il loro veto per difendere gli interessi di Israele e quindi di tutto il blocco occidentale. Un equilibrio che rompendosi ha appunto scatenato ritorsioni a catena. L’ira prevedibile del premier Benjamin Netanyahu ha condotto Gerusalemme ad annullare la missione a Washington del consigliere per gli Affari strategici Ron Dermer e di quello per la sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi per definire le alternative praticabili all’intervento di terra a Rafah. Contemporaneamente è stato stabilito di ritirare la delegazione israeliana alle trattative in corso a Doha sul conflitto a Gaza. Perché come ha spiegato Netanyahu: «La posizione di Hamas dimostra in maniera chiara che non è interessato a continuare
le trattative e rappresenta una prova dolorosa dei danni causati dalla decisione del Consiglio di sicurezza». Infatti dopo la risoluzione Hamas ha informato i mediatori del Qatar e dell’egitto che non avrebbe abbandonato le proprie richieste sui negoziati, tra cui il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia. Una mossa
che per Netanyahu è conseguenza dolorosa della mossa dell’onu,
L’assenza di Israele a Doha ovviamente conduce dritti all’impossibilità di portare avanti i negoziati. Hamas infatti si è detta insoddisfatta perché «Israele», secondo Hamas, «non ha fatto riferimento al cessate il fuoco e al ritiro delle
forze da Gaza. Le nostre richieste erano realistiche», hanno aggiunto, «ma non c’è una volontà di Israele di raggiungere un accordo. Noi vogliamo un meccanismo chiaro e reale per un cessate il fuoco e per il rientro degli sfollati». Netanyahu ha chiarito che la decisione di ritirare la delegazione dai negoziati a Doha è arrivata su indicazione del capo del Mossad David Barnea e ha aggiunto: «Israele non si arrenderà alle richieste strampalate di Hamas e continuerà ad agire per raggiungere gli obiettivi della guerra». Concetto ribadito anche dal ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant che rivolgendosi direttamente al segretario di Stato americano Antony Blinken ha detto: «Israele non cesserà di operare a Gaza fino al ritorno degli ostaggi. Solo una vittoria decisiva porterà alla fine della guerra».
Una guerra che più si va avanti e più diventa chiaro che stia coinvolgendo molti più attori di quanti non se ne vedano direttamente in campo. Uno di questi è l’iran.
Il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ieri, e quindi proprio all’indomani dell’approvazione della bozza di risoluzione Onu, ha avuto un incontro a Teheran con il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian.
Nella conferenza stampa che ha seguito l’incontro Haniyeh ha detto: «La risoluzione indica che l’occupazione di Israele sta subendo un isolamento politico senza precedenti».
Il vertice che arriva proprio dopo la risoluzione Onu rende ancora più evidente una suggestione che ai militari israeliani è chiara fin dal principio. L’iran non è un attore marginale in questo conflitto, anzi, secondo fonti accreditate, il governo di Teheran avrebbe agito fin dal principio per costruire un «ring intorno a loro per rendere instabile tutto il
Medioriente». La chiamano «dottrina iraniana» e anche Gaza va inserita in questo disegno. Gli stessi Houthi, chiamati miliziani o ribelli, sono tutt’altro che un gruppo militare improvvisato, anzi. Infatti come già scritto su queste colonne, la loro preparazione e il loro equipaggiamento è pari a quella di un esercito strutturato. A loro disposizione un arsenale di primo livello e diversificato che comprende sia missili da crociera che balistici. Armi che provengono dall’iran, ma anche dalla Cina.
Impossibile non evidenziare quanto la crisi del Mar Rosso stia influenzando tutto il blocco occidentale hanno sottolineato le stesse fonti militari che hanno ricordato come sia consentito il transito alle navi russe e cinesi. Anche l’altro fronte israeliano, quello con Hezbollah, è chiaramente influenzato da Teheran. Eppure come denunciano le fonti: «Nessuno incolpa l’iran».
L’ultimo tema, ma non per rilevanza è quello dell’operazione di terra a Rafah. Israele ne avrebbe dovuto discutere a Washington per capire se ci fossero alternative, ma la missione è stata annullata. «Non ce ne sono» secondo le autorità militari israeliane, ma l’obiettivo resta quello di proteggere i civili. È per questo che l’operazione si terrà anche grazie al via libera dell’egitto che ha detto che non si opporrà a un’operazione a Rafah, se questa sarà condotta in modo tale da evitare vittime civili palestinesi.