A rischio 5.000 impieghi. E l’erario ci perde
A fronte dei 100 milioni di entrate generati dalla tassa, il gettito Iva calerà di 275 milioni. Assobibe: «Stupiti»
La sugar tax tassa lo zucchero anche quando non c’è. Questa è la frase che racchiude il pensiero di Assobibe, l’associazione di Confindustria che rappresenta i produttori di bevande analcoliche, dopo che la sugar tax è stata dichiarata costituzionalmente legittima dalla Consulta. Secondo i magistrati della Corte costituzionale, infatti, la norma compenserebbe le spese che dovrebbe affrontare lo Stato per i possibili danni alla salute dei cittadini.
Il problema è che, secondo Assobibe, questa norma rischia solo di tassare maggiormente bevande il cui apporto di zucchero è già limitato e non nuoce alla salute, con l’unico effetto di affossarne il mercato e di ridurne il gettito fiscale tanto utile alla salute pubblica.
In particolare, secondo uno studio di Nomisma, visto che la sugar tax colpisce anche le bevande senza zucchero (come quelle spesso definite light o zero), si stima che il mercato, con l’entrata in vigore della norma, subirà una contrazione delle vendite del 16% con un mancato gettito Iva per 275 milioni di euro. Inoltre, tutto questo potrebbe mettere a rischio anche i 5.050 posti di lavoro del settore, poiché si prevede un aumento medio del 28% della pressione fiscale per singolo litro di soft drink. Non solo, secondo lo studio, la sugar tax potrebbe portare a una riduzione di 46 milioni di euro di investimenti da parte delle imprese produttrici del settore per il biennio 2024-2025, senza considerare la riduzione da 400 milioni di euro degli acquisti di materie prime sempre dalle compagnie del comparto.
Secondo le stime dell’associazione, questa norma porterà un gettito di poco superiore ai 100 milioni di euro, una cifra piuttosto bassa se si considerano le perdite che la sugar tax comporterà in termini di gettito, vendite e potenziale impatto sui posti di lavoro.
Come fa sapere Assobibe, «siamo davvero stupiti dalla pronuncia della Consulta, ma ancora di più dalle motivazioni che si basano su un razionale scientifico contestabile e, soprattutto, slegato dai consumi reali in Italia», spiega il presidente dell’associazione Giangiacomo Pierini. «I Paesi agiscono con approcci diversi e in molti casi la sugar tax è stata introdotta per incentivare la riformulazione: noi l’abbiamo fatto senza bisogno di tasse arrivando a tagliare del 41% lo zucchero immesso a scaffale, anche attraverso azioni volontarie e protocolli siglati con il ministero della Salute, e applicando rigide autolimitazioni nella vendita verso i consumatori più fragili come i bambini. Lasciamo da parte cavilli giuridici in cui giudici affermano che lo zucchero sia da contrastare solo se presente nelle bibite», fa sapere Pierini.
Fatto sta che la sentenza numero 49 della Consulta ha dichiarato legittima la sugar tax, questione sollevata dalla seconda sezione del Tar del Lazio che l’aveva censurata per violazione del principio di eguaglianza tributaria, visto che si trattava di una tassa destinata a colpire solo alcune bevande analcoliche.
La norma era stata voluta inizialmente dal governo Conte 2 a fine del 2019. Poi innumerevoli proroghe ne hanno ritardato l’applicazione fino al primo luglio di quest’anno, quando quindi dovrebbe entrare in vigore con un importo di 10 euro per ettolitro nel caso di prodotti finiti e di 0,25 euro per chilogrammo nel caso di prodotti predisposti ad essere utilizzati previa diluizione.
Il punto, spiega Assobibe, è che l’italia è all’ultimo posto nell’unione europea per consumi pro capite di bevande
analcoliche (54 litri annui) e che l’impatto dei soft drink sulla dieta degli italiani è infinitesimale: 1% per gli adulti, 0,6% per i bambini. Inoltre, l’efficacia della tassa sulla riduzione dell’incidenza di sovrappeso, obesità e diabete non è dimostrata: nell’area definita come Zona Europa, che comprende oltre 53 paesi, l’oms ha registrato che, al 2020, la sugar tax era stata inserita in 10 dei 53 Stati, il 19% del totale, producendo una contrazione dei consumi solo nel breve periodo per poi tornare ai livelli pre tassa. In mercati con tasse sulle bevande analcoliche come Messico, Finlandia, Cile, Regno Unito, Francia e Irlanda i tassi di obesità sono risultati persino in crescita, a dimostrazione che la tassa non si traduce in un miglioramento della dieta, tanto che alcuni Paesi hanno iniziato a eliminare la tassa sui soft drink. È stato così in Danimarca nel 2016, in Norvegia nel 2000, in Islanda nel 2000, in Israele nel 2022 e in Australia nel 2018.