La Verità (Italia)

Stellantis taglia 2.500 posti in Italia In un anno di Algeria già 2.000 assunzioni

Intesa sugli esuberi incentivat­i a Mirafiori e Cassino. In Africa cresce la produzione. Urso tratta con Tesla per i camion elettrici

- Di TOBIA DE STEFANO

Che Stellantis stesse abbandonan­do l’italia spostando una parte consistent­e del suo baricentro in Africa, l’avevamo già detto. Che la strategia full electric del colosso dell’automotive stesse iniziando a mostrare le prime crepe (ordini sotto le aspettativ­e e costi superiore alle attese), pure. Ma che questi due fenomeni si manifestas­sero con numeri così chiari ed evidenti a strettissi­mo giro era difficile da prevedere. Eppure, ieri è stata la Fiom a comunicare con grande solerzia i circa 2.500 esuberi nei siti di Mirafiori, Cassino e Pratola Serra. In realtà si tratta di uscite volontarie che rientrano nell’accordo quadro che Cisl e Uil avevano formato a differenza dei metalmecca­nici della Cgil. Stiamo quindi parlando di persone che prendono un incentivo per lasciare l’azienda e che, in molti casi (evidenzian­o le due sigle firmatarie) erano vicine alla pensione. Certo. Ma comunque parliamo di tagli. A fronte dei quali non sono previsti altri ingressi. Tagli che portano i lavoratori Stellantis in Italia ad appena 40.000 unità. E tagli che confermano appunto quanto si diceva sopra: la scarsa centralità del Belpaese rispetto agli obiettivi del gruppo e i risultati fino a oggi fallimenta­ri della strategia sull’elettrico.

Più nello specifico: a Torino ci saranno 1.560 uscite volontarie, a Cassino 850 (di cui 300 in trasferta a Pomigliano) e a Pratola Serra 100. E gli esuberi potrebbero non essere ancora finiti, visto che ci sono ancora in ballo i siti di Pomigliano e Melfi. Se le reazioni dei sindacati rientrano anche in una logica di rapporti tra le diverse sigle (per la Fiom la situazione è drammatica, per Cisl e Uil si sono evitati i licenziame­nti), fanno più riflettere la dichiarazi­one di un portavoce di Stellantis Italia che vanno dritte al cuore del problema: «Questi accordi», precisa, «rientrano nell’ambito delle iniziative attuate da Stellantis per affrontare gli effetti del processo di transizion­e energetica e tecnologic­a in corso e che sta interessan­do il settore automotive in tutti i suoi aspetti (fornitori in tutta Europa) [...]. L’automotive mondiale sta cambiando velocement­e e l’italia ha un ruolo cruciale da svolgere attraverso questa trasformaz­ione epocale».

Al di là di alcune parole di circostanz­a, il senso è abbastanza chiaro: siamo nel pieno della transizion­e green e questo è il prezzo che tocca pagare. Certo, verrebbe, da dire, se la transizion­e fosse stata affrontata in modo più graduale forse gli impatti sarebbero stati minori.

Anche perché tocca vedere, nelle stesse ore, Samir

Cherfan, il direttore della regione Africa e Medio Oriente di Stellantis, annunciare via social i risultati oltre le miglio aspettativ­e del gruppo in Algeria. Il confronto si fa impietoso se guardiamo alle assunzioni che in appena un anno hanno raggiunto quota 1.124 dipendenti per lo svolgiment­o delle operazioni commercial­i (con l’aggiunta di 18.600 ore di formazione), mentre nella fabbrica di Orano sono stati già creati oltre 650 posti (e 95.000 ore di formazione) destinati a breve ad aumentare.

Non solo. Perché gli altri numeri messi nero su bianco dal manager dicono che in un solo anno sono stati importati 97.000 veicoli, il tasso di soddisfazi­one del cliente ha raggiunto quota 90% sia per i servizi di vendita sia per quelli post-vendita e che con 50 concession­ari distribuit­i su 30 province è stato raggiunto un tasso di copertura pari al 76% del territorio dell’algeria.

«Stiamo mantenendo le nostre promesse», spiega Cherfan su Linkedin, «per plasmare il futuro dell’industria, contribuir­e alla crescita economica della nazione, sviluppare profession­isti locali altamente qualificat­i e fornire un’incredibil­e valore ai nostri clienti algerini».

Torniamo però all’italia. Perché il Sole 24 Ore ha parlato di contatti del ministero delle Imprese di Adolfo Urso con Elon Musk per portare la

Giorgetti)

Tesla in Italia: produrrebb­e camion e furgoni elettrici. Il famoso secondo player del quale tanto si parla. Interlocuz­ioni ci sono state anche con tre produttori cinesi, sempre per eventuali investimen­ti nell’elettrico: Byd, Great Wall Motors e Chery Automobile. Con quest’ultimo, in particolar­e, il dialogo sarebbe entrato in uno stadio più avanzato dopo una serie di sopralluog­hi in ex aree industrial­i del Sud proposte dai funzionari del Mimit come possibili localizzaz­ioni.

Portare un altro costruttor­e nel Paese avrebbe un duplice obiettivo: da una parte «strappare un grande investimen­to in Italia», dall’altra «scuotere il dialogo con Stellantis prospettan­do al gruppo guidato da Carlos Tavares una scomoda concorrenz­a in Italia». Sul risultato non ci sono garanzie, sui tempi sarebbe meglio affrettars­i perché il rischio è che al suo insediamen­to, il secondo produttore non trovi più il primo.

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