Sospesa l’estradizione negli States La Corte di Londra «salva» Assange
Verdetto rinviato di tre settimane. L’uomo negli Usa rischia 175 anni di carcere
Per Julian Assange pare esserci ancora speranza. L’alta Corte di Londra, infatti, ha accolto le richieste dell’attivista australiano, dando il via libera a un nuovo appello contro la sua estradizione negli Stati Uniti. Dopo che l’istanza dei legali di Assange era stata respinta in primo grado, ieri i giudici Victoria Sharp e Adam Johnson hanno valutato che le argomentazioni della difesa non erano infondate. Del resto, lo scorso febbraio i togati avevano concesso un’udienza di ben due giorni all’avvocato del cofondatore di Wikileaks, Edward Fitzgerald. Il quale aveva fatto presente che, in caso di estradizione Oltreoceano, le autorità americane avrebbero fatto di tutto per punire il suo assistito in maniera esemplare per «aver esposto la criminalità del governo degli Stati Uniti su una scala senza precedenti». Una tesi che sembra aver convinto l’alta Corte londinese. Che, nella sentenza composta da 66 pagine, ha dato tre settimane di tempo al governo di Washington per fornire solide garanzie sul fatto che, qualora venisse estradato, i diritti fondamentali di Assange saranno rispettati e che l’attivista non rischierà la pena di morte. La prossima udienza è stata fissata al 20 maggio.
L’attività di Assange, in effetti, ha creato gravi imbarazzi alle autorità americane, che gli danno la caccia da ormai 15 anni. La pietra dello scandalo, com’è noto, è rappresentata dai circa 700.000 documenti riservati del Pentagono e del Dipartimento di Stato che il giornalista divulgò sulla piattaforma online Wikileaks. Da questi documenti sono emersi, tra le altre cose, i crimini di guerra commessi dall’esercito americano in Iraq e in Afghanistan. Nel caso in cui venisse estradato negli Stati Uniti, ad Assange verrebbero contestati 17 capi d’imputazione, tra cui quello di spionaggio. Sommando le varie ipotesi di reato, l’attivista australiano rischia circa 175 anni di carcere. E, peraltro, non è esclusa la pena capitale. Proprio la condanna a morte, come detto, costituisce uno dei punti critici rilevati dall’alta Corte di Londra. Gli ermellini britannici, inoltre, hanno chiesto rassicurazioni a Washington sul fatto che Assange avrà facoltà di appellarsi al primo emendamento della Costituzione statunitense, quello che tutela la libertà d’espressione. Finora, infatti, il governo americano ha sempre sostenuto che il cofondatore di Wikileaks, con la divulgazione di documenti riservati, sarebbe andato «oltre i limiti del giornalismo». L’alta Corte, al contrario, chiede maggiori garanzie sull’eventualità che l’estradizione non si configuri come «una persecuzione contro la legittima attività giornalistica».
In secondo luogo, a pesare sulla sentenza sarebbero state anche le condizioni di salute di Assange. Il cofondatore di Wikileaks è recluso da cinque anni nel carcere di massima di sicurezza di Belmarsh, nell’area sudest di Londra: una prigione in cui vige un regime penitenziario particolarmente severo che le è valso il soprannome di «Guantanamo britannica». Del resto, Stella Moris, ex avvocato e ora moglie di Assange, ha fatto sapere di recente che il marito, già provato dal carcere di Belmarsh, non sarebbe in grado di sopravvivere alle condizioni di detenzione di una cella americana. Dopo la pubblicazione della sentenza, la Moris ha dichiarato: «Ora credo che la domanda giusta sia: perché non fate cadere le accuse? Julian è stato in prigione per quasi cinque anni. Questo caso non serve ad altro se non a intimidire i giornalisti in tutto il mondo. Non solo qui, non solo negli Usa».