I test per i magistrati sono legittimi La protesta dell’anm è infondata
La selezione avviene sì per concorso, ma non ci sono limiti sui requisiti che i partecipanti dovrebbero rispettare né sulle prove che devono sostenere. Il governo ha facoltà di introdurre i controlli psicologici
Possono addursi le più varie ragioni per non condividere la decisione del governo di introdurre la norma che prevede la sottoposizione degli aspiranti magistrati a dei test psicoattitudinali. Quelle che, tra esse, appaiono meno sostenibili sono, però, paradossalmente, proprio le medesime alle quali maggiormente risultano essersi appigliati, per motivare la loro opposizione, l’ Associazione nazionale magistrati e i componenti togati del Consiglio superiore della magistratura, e cioè la violazione dell’articolo 106 della Costituzione, nella parte in cui prevede che l’accesso alla magistratura sia consentito solo «per concorso» e il cosiddetto «eccesso di delega», con conseguente violazione degli articoli 76 e 77, comma primo, della Costituzione, per il fatto che i test psicoattitudinali non sono espressamente previsti nella delega conferita al governo con la legge numero 71/2022 per la riforma dell’ordinamento giudiziario. Ora, quanto alla prima di tali ragioni, dovrebbe bastare, a dimostrarne l’infondatezza, l’osservazione che l’articolo 106 della Costituzione, nel prevedere come via ordinaria di accesso alla magistratura quella del «concorso», non fornisce alcuna ulteriore indicazione circa i requisiti dei quali dovrebbero essere in possesso i candidati per potervi partecipare e neppure circa quello che dovrebbe essere il contenuto delle prove da superare. Si dà, ovviamente, per scontato che queste debbano avere per oggetto materie tecniche, ma questo non può affatto significare che, in base alla norma in discorso, debba ritenersi «quale unico criterio di accesso alla magistratura professionale quello tecnico», come invece sostenuto, stando a quanto riportato da Repubblica.it il 26 marzo scorso, dai componenti togati del Csm, con l’adesione anche dei due laici Roberto Romboli del Pd e Michele Papa del M5s. Se così fosse dovrebbero allora ammettersi in magistratura, a pena di violazione dell’articolo 106 della Costituzione, anche, ad esempio, dei pluripregiudicati per gravi reati che, invece, ai sensi della normativa vigente, ne sono giustamente esclusi, al pari di coloro che siano fisicamente inidonei all’impiego.
Si deve quindi ritenere che rientri nella piena discrezionalità del legislatore ordinario fissare i requisiti soggettivi per la partecipazione ai concorsi di ammissione alla magistratura, con l’unico limite costituito dalla necessità che essi non comportino violazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. E non potrebbe certo sostenersi che darebbe luogo ad una tale violazione il prevedere che i candidati risultino in possesso di quel minimo di equilibrio mentale che comunemente e ragionevolmente si ritiene necessario per l’esercizio delle funzioni giudiziarie e che può mancare in qualunque soggetto, pur in assenza di vere proprie affezioni patologiche della sfera psichica. D’altra parte, la regola del concorso è stabilita anche dall’articolo 97 della Costituzione per l’accesso a tutti gli impieghi pubblici, ivi compresi, quindi, quelli degli appartenenti alle forze dell’ordine. Per costoro l’esame psicoattitudinale, come ricordato dal ministro Carlo Nordio in conferenza stampa, è già previsto dalla legge e nessuno ha mai sostenuto che ciò sia contrario alla citata norma costituzionale. Nulla impedirebbe, pertanto, sotto il profilo formale, neppure che il possesso del requisito in questione venisse posto addirittura come precondizione, al pari dell’incensuratezza e dell’idoneità fisica, per la partecipazione al concorso in magistratura, potendosi semmai discutere sulla opportunità ed efficacia di una tale previsione, senza tirare in ballo, però, né l’articolo 106 né altra norma di rango costituzionale.
Per quanto concerne, poi, il preteso «eccesso di delega», il ministro lo ha escluso richiamandosi al fatto che proprio dalle competenti commissioni parlamentari, in sede di formulazione del parere sullo schema di decreto legislativo di attuazione della delega, era venuto l’invito a valutare l’eventuale introduzione dei test psicoattitudinali. Al che potrebbe, in verità, obiettarsi che se il provvedimento del governo esorbitasse effettivamente dai limiti della legge delega sarebbe costituzionalmente illegittimo, pur se munito del parere favorevole delle commissioni parlamentari. Ma in realtà non sembra affatto potersi affermare che quei limiti siano stati superati. La legge delega, infatti, stabilisce, che il governo è genericamente delegato «alla modifica dei presupposti per l’accesso in magistratura dei laureati in giurisprudenza» e detta poi i «principi e criteri direttivi» nel cui «rispetto» la delega dev’essere esercitata. Tra essi, in effetti, non figura l’introduzione dei test in questione, ma ciò non può bastare per dedurne la sua illegittimità per «eccesso di delega». Al riguardo occorre, infatti, ricordare il principio più volte affermato dalla Corte costituzionale secondo cui «la delega legislativa non fa venir meno ogni discrezionalità del legislatore delegato, che risulta più o meno ampia a seconda del grado di specificità dei principi e criteri fissati nella legge delega». Ne consegue, sempre secondo la Corte costituzionale, che «per valutare di volta in volta se il legislatore delegato abbia ecceduto tali, più o meno ampi, margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia ad essa rispondente». E non appare dubbio che, nel nostro caso, la ratio, cioè la finalità essenziale della delega, fosse quella di accrescere l’efficienza e l’affidabilità del servizio giustizia anche intervenendo in vario modo sui meccanismi di selezione degli aspiranti all’ingresso in magistratura. Il che rende più che giustificata, prescindendo da ogni considerazione circa la reale efficacia dello strumento prescelto, la verifica, prima dell’eventuale assunzione delle funzioni giudiziarie, dell’affidabilità, anche sotto il profilo dell’equilibrio psichico, del soggetto intenzionato ad assumerle.
L’esecutivo non è andato oltre i binari che ha fissato la legge delega
L’equilibrio psichico dei singoli candidati viene già valutato per altre categorie