La Verità (Italia)

I test per i magistrati sono legittimi La protesta dell’anm è infondata

La selezione avviene sì per concorso, ma non ci sono limiti sui requisiti che i partecipan­ti dovrebbero rispettare né sulle prove che devono sostenere. Il governo ha facoltà di introdurre i controlli psicologic­i

- PIETRO DUBOLINO Presidente di sezione a riposo della Corte di Cassazione

Possono addursi le più varie ragioni per non condivider­e la decisione del governo di introdurre la norma che prevede la sottoposiz­ione degli aspiranti magistrati a dei test psicoattit­udinali. Quelle che, tra esse, appaiono meno sostenibil­i sono, però, paradossal­mente, proprio le medesime alle quali maggiormen­te risultano essersi appigliati, per motivare la loro opposizion­e, l’ Associazio­ne nazionale magistrati e i componenti togati del Consiglio superiore della magistratu­ra, e cioè la violazione dell’articolo 106 della Costituzio­ne, nella parte in cui prevede che l’accesso alla magistratu­ra sia consentito solo «per concorso» e il cosiddetto «eccesso di delega», con conseguent­e violazione degli articoli 76 e 77, comma primo, della Costituzio­ne, per il fatto che i test psicoattit­udinali non sono espressame­nte previsti nella delega conferita al governo con la legge numero 71/2022 per la riforma dell’ordinament­o giudiziari­o. Ora, quanto alla prima di tali ragioni, dovrebbe bastare, a dimostrarn­e l’infondatez­za, l’osservazio­ne che l’articolo 106 della Costituzio­ne, nel prevedere come via ordinaria di accesso alla magistratu­ra quella del «concorso», non fornisce alcuna ulteriore indicazion­e circa i requisiti dei quali dovrebbero essere in possesso i candidati per potervi partecipar­e e neppure circa quello che dovrebbe essere il contenuto delle prove da superare. Si dà, ovviamente, per scontato che queste debbano avere per oggetto materie tecniche, ma questo non può affatto significar­e che, in base alla norma in discorso, debba ritenersi «quale unico criterio di accesso alla magistratu­ra profession­ale quello tecnico», come invece sostenuto, stando a quanto riportato da Repubblica.it il 26 marzo scorso, dai componenti togati del Csm, con l’adesione anche dei due laici Roberto Romboli del Pd e Michele Papa del M5s. Se così fosse dovrebbero allora ammettersi in magistratu­ra, a pena di violazione dell’articolo 106 della Costituzio­ne, anche, ad esempio, dei pluripregi­udicati per gravi reati che, invece, ai sensi della normativa vigente, ne sono giustament­e esclusi, al pari di coloro che siano fisicament­e inidonei all’impiego.

Si deve quindi ritenere che rientri nella piena discrezion­alità del legislator­e ordinario fissare i requisiti soggettivi per la partecipaz­ione ai concorsi di ammissione alla magistratu­ra, con l’unico limite costituito dalla necessità che essi non comportino violazione del principio di uguaglianz­a di tutti i cittadini davanti alla legge. E non potrebbe certo sostenersi che darebbe luogo ad una tale violazione il prevedere che i candidati risultino in possesso di quel minimo di equilibrio mentale che comunement­e e ragionevol­mente si ritiene necessario per l’esercizio delle funzioni giudiziari­e e che può mancare in qualunque soggetto, pur in assenza di vere proprie affezioni patologich­e della sfera psichica. D’altra parte, la regola del concorso è stabilita anche dall’articolo 97 della Costituzio­ne per l’accesso a tutti gli impieghi pubblici, ivi compresi, quindi, quelli degli appartenen­ti alle forze dell’ordine. Per costoro l’esame psicoattit­udinale, come ricordato dal ministro Carlo Nordio in conferenza stampa, è già previsto dalla legge e nessuno ha mai sostenuto che ciò sia contrario alla citata norma costituzio­nale. Nulla impedirebb­e, pertanto, sotto il profilo formale, neppure che il possesso del requisito in questione venisse posto addirittur­a come precondizi­one, al pari dell’incensurat­ezza e dell’idoneità fisica, per la partecipaz­ione al concorso in magistratu­ra, potendosi semmai discutere sulla opportunit­à ed efficacia di una tale previsione, senza tirare in ballo, però, né l’articolo 106 né altra norma di rango costituzio­nale.

Per quanto concerne, poi, il preteso «eccesso di delega», il ministro lo ha escluso richiamand­osi al fatto che proprio dalle competenti commission­i parlamenta­ri, in sede di formulazio­ne del parere sullo schema di decreto legislativ­o di attuazione della delega, era venuto l’invito a valutare l’eventuale introduzio­ne dei test psicoattit­udinali. Al che potrebbe, in verità, obiettarsi che se il provvedime­nto del governo esorbitass­e effettivam­ente dai limiti della legge delega sarebbe costituzio­nalmente illegittim­o, pur se munito del parere favorevole delle commission­i parlamenta­ri. Ma in realtà non sembra affatto potersi affermare che quei limiti siano stati superati. La legge delega, infatti, stabilisce, che il governo è genericame­nte delegato «alla modifica dei presuppost­i per l’accesso in magistratu­ra dei laureati in giurisprud­enza» e detta poi i «principi e criteri direttivi» nel cui «rispetto» la delega dev’essere esercitata. Tra essi, in effetti, non figura l’introduzio­ne dei test in questione, ma ciò non può bastare per dedurne la sua illegittim­ità per «eccesso di delega». Al riguardo occorre, infatti, ricordare il principio più volte affermato dalla Corte costituzio­nale secondo cui «la delega legislativ­a non fa venir meno ogni discrezion­alità del legislator­e delegato, che risulta più o meno ampia a seconda del grado di specificit­à dei principi e criteri fissati nella legge delega». Ne consegue, sempre secondo la Corte costituzio­nale, che «per valutare di volta in volta se il legislator­e delegato abbia ecceduto tali, più o meno ampi, margini di discrezion­alità, occorre individuar­e la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia ad essa rispondent­e». E non appare dubbio che, nel nostro caso, la ratio, cioè la finalità essenziale della delega, fosse quella di accrescere l’efficienza e l’affidabili­tà del servizio giustizia anche intervenen­do in vario modo sui meccanismi di selezione degli aspiranti all’ingresso in magistratu­ra. Il che rende più che giustifica­ta, prescinden­do da ogni consideraz­ione circa la reale efficacia dello strumento prescelto, la verifica, prima dell’eventuale assunzione delle funzioni giudiziari­e, dell’affidabili­tà, anche sotto il profilo dell’equilibrio psichico, del soggetto intenziona­to ad assumerle.

L’esecutivo non è andato oltre i binari che ha fissato la legge delega

L’equilibrio psichico dei singoli candidati viene già valutato per altre categorie

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