La Verità (Italia)

La Consulta salva le toghe colpevoli

Il verdetto della Corte costituzio­nale cancella la radiazione automatica dei giudici che hanno ricevuto una sentenza definitiva. «Dovrà valutare il Csm caso per caso»

- Di FRANÇOIS DE TONQUÉDEC

È destinata a far discutere la sentenza emessa ieri dalla Corte costituzio­nale che ha dichiarato illegittim­a la rimozione automatica di un magistrato condannato in via definitiva a una pena non sospesa. La Consulta era chiamata a dirimere una questione sollevata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, in relazione al caso di un magistrato era stato condannato, con sentenza passata in giudicato, alla pena non sospesa della reclusione di due anni e quattro mesi per avere apposto, con il consenso della presidente del collegio di cui era componente, la firma apocrifa della presidente stessa in tre diversi provvedime­nti giurisdizi­onali. In applicazio­ne della norma prevista dalla legge, risalente al 2006, che regola le sanzioni disciplina­ri ai magistrati, il Consiglio superiore della magistratu­ra aveva quindi applicato al magistrato della rimozione, e l’interessat­o aveva promosso ricorso per cassazione contro il provvedime­nto. Nel provvedime­nto emesso ieri, la Corte costituzio­nale ha evidenziat­o che, secondo la propria costante giurisprud­enza, la condanna penale di un funzionari­o pubblico o di un profession­ista non può, da sola, determinar­e la sua automatica espulsione dal servizio o dall’albo profession­ale. Per le toghe di Palazzo della Consulta, sanzioni disciplina­ri fisse, come la rimozione, sono anzi indiziate di illegittim­ità costituzio­nale. Nel provvedime­nto infatti si legge: «L’automatism­o censurato introdurre­bbe “nella sostanza una interdizio­ne dai pubblici uffici ulteriore rispetto a quella specificam­ente ipotizzata (quoad delicta) dal legislator­e penale, il che, anche sotto tale profilo, determina un vulnus quanto alla previa individuaz­ione delle conseguenz­e derivanti dalla commission­e di un determinat­o reato”». La norma dichiarata incostituz­ionale ieri, invece, ricollegav­a la sola sanzione della rimozione alla condanna per qualsiasi reato, purché la pena inflitta dal giudice penale superasse una certa soglia quantitati­va, finendo così per spogliare il Csm di ognimargin­e di valutazion­e sulla sanzione da applicare nel caso concreto. Creando così, secondo la Consulta «risultati sanzionato­ri sproporzio­nati rispetto alle specifiche finalità della responsabi­lità disciplina­re, in conseguenz­a dell’eterogenei­tà delle condotte suscettibi­li di essere sanzionate e della irragionev­ole sottrazion­e alla Sezione disciplina­re (del Csm, ndr) di ogni potere di apprezzame­nto sulla inidoneità del magistrato condannato a continuare a svolgere le proprie funzioni». Per effetto della pronuncia depositata ieri, sarà quindi il Csm a determinar­e caso per caso la sanzione da applicare al magistrato, potendo comunque optare ancora per la rimozione qualora ritenga che il delitto per il quale è stato condannato sia indicativo di una «radicale inidoneità» dello stesso a svolgere le funzioni di magistrato. Una decisione certamente di buonsenso, che però arriva nel pieno delle polemiche tra il governo e la magistratu­ra associata sulla riforma della giustizia, compresa l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, che le toghe difendono a spada tratta e che invece gli amministra­tori locali temono per il rischio di sospension­e per 18 mesi già in caso di condanna di primo grado non passata in giudicato e di incandidab­ilità in caso di sentenza definitiva. Il salvacondo­tto per i giudici, rischia quindi di buttare ulteriore benzina nel fuoco.

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