Non seppellite le inchieste sui nonnini morti
Durante l’emergenza, in due case di riposo di Ferrara perirono oltre 50 ospiti. Le carte attestano carenze e omissioni all’interno delle strutture. Ma il pm chiede l’archiviazione, perché sono sparite le cartelle cliniche che provino il nesso tra i decess
Moltissimi anziani del Paradiso e di Caterina, due Rsa di Ferrara, presero il Covid tra ottobre 2020 e febbraio 2021. Tanti ne morirono, si ammalarono anche diversi operatori e i periti della Procura evidenziarono un numero impressionante di mancanze, «ritardi e omissioni», però il pm Barbara Cavallo ha chiesto l’archiviazione per i sei indagati.
Le accuse nei confronti del presidente del cda di entrambe le strutture, dei responsabili amministrativi e dei coordinatori, vanno da epidemia colposa a omicidio e lesioni colposi. Il procedimento, che ha riunito gli esposti presentati da una decina di familiari per ciascuna residenza, passa ora nelle mani del gip, che deciderà se archiviare o no.
L’assenza di un piano pandemico, le scelte dei governi di allora, le responsabilità delle Regioni che diedero soldi ma non controllarono le strutture per gli autentici fragili, non possono essere cancellate con l’ennesima archiviazione. Quello delle Rsa, dei tantissimi anziani lasciati morire in strutture già inadeguate e poi travolte dalla pandemia è un altro dei capitoli vergognosi di cui dovrebbe occuparsi la commissione parlamentare sulla gestione dell’emergenza sanitaria. Per rispetto nei confronti dei 20 familiari di Ferrara che fecero l’esposto (uno perse entrambi i genitori al Paradiso), e perché era la situazione comune a moltissime residenze: lo sanno bene gli italiani che non hanno potuto abbracciare i loro cari, morti come mosche in focolai fuori controllo.
Figli e parenti degli ospiti nelle Rsa ferraresi vennero avvisati in ritardo, ci furono 40 anziani morti al Caterina come si legge nel procedimento, del Paradiso il numero non è riportato. Secondo la Protezione civile, al 3 marzo 2021 i decessi furono 18, però molte cartelle sono sparite.
Chi lavorava all’interno delle residenze disse ai Nas che non c’erano bombole di ossigeno, mancavano cortisone e trattamenti per i diabetici, non c’era separazione tra positivi e no, un’infermiera raccontò di essersi occupata da sola di 90 ospiti. Sono però le due perizie dei tecnici, incaricati dal sostituto procuratore Cavallo di verificare le condizioni del Paradiso e del Caterina, a descrivere un quadro devastante, dopo aver esaminato una montagna di documenti.
Dai corposi verbali dei Nas all’elenco dei tamponi effettuati, dai protocolli Covid alle informative sui visitatori. Gli esperti sottolinearono anche la «non comprensibile» assenza di messaggi wap, di posta elettronica, di verbali di riunioni tra i responsabili nei giorni di maggiore contagio.
Uno dei due consulenti, l’ingegnere Lorenzo Belloni di Rovigo, lo scorso maggio segnalava: «Emerge una totale inadeguatezza» del documento di protocollo del rischio, «non firmato da nessuno dei soggetti previsti, datore di lavoro, responsabile del servizio di prevenzione e protezione, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e medico competente […] non si fa mai riferimento all’attività assistenziale o alla presenza di pazienti [...] non esiste nessuna contestualizzazione con luoghi e attività, riportando addirittura il termine “reparti produttivi”», quando invece c’erano anziani fragilissimi.
Tra i tanti rilievi, il consulente annotava «assenza di allarmi tempestivi e di richieste specifiche di supporto alle amministrazioni pubbliche territorialmente competenti, inadeguatezza nella dotazione di strumenti di prevenzione, inadeguatezza dei programmi di aggiornamento per gli operatori, mancata tempestiva cognizione della gravità della situazione da parte dei vertici aziendali, il tutto ha contribuito alla diffusione dei focolai».
Come ha potuto il pm chiedere l’archiviazione, dopo un’analisi così dura della situazione del rischio nelle due Rsa? L’altro perito, sempre della Procura, il professor Saverio Parisi, ordinario di malattie infettive dell’università di Padova, il 25 aprile 2023 elencava che «non c’era procedura per gestione rifiuti speciali», che gli operatori avevano dichiarato che «i bidoni dei rifiuti speciali si trovavano nella stanza degli ospiti […] non c’è registro per registrazione pulizia/sanificazione […]. A distanza di 17 giorni dal primo riscontro di positività, non erano ancora stati separati gli ospiti da area infetta e non infetta».
Aggiungeva che le tante mancanze «sono evidentemente esito di una precedente grave carenza struttura/e di organizzazione, pianificazione, dotazione di mezzi e strumenti adeguati, logistica inadatta al servizio svolto, carico assistenziale sproporzionato a sedi, personale e mezzi. Risulta quindi estremamente rilevante e decisiva la persistente assenza delle figure di coordinamento, a tutti i livelli, assenze non tutte causate da infezione da Covid». Precisava meglio: «La pandemia non può essere addotta come esimente/scusante».
Certo, manca la prova provata delle cartelle cliniche e «del ruolo avuto dalla infezione da Sars-cov-2 nei decessi dei numerosi ospiti, conclude il professore. «Risulta impossibile individuare i singoli soggetti esposti e danneggiati che potevano essere diversamente gestiti, per la mancanza di alcun tracciamento dei fatti occorsi, di disposizione e trasferimenti degli ospiti, operatività degli operatori (chi seguiva chi)». Semmai, doveva essere un’aggravante. Invece il pm Barbara Cavallo ha chiesto l’archiviazione per i sei indagati in quanto non sarebbe possibile «valutare in concreto l’effettività e l’adeguatezza degli interventi dichiarati, né comunque ravvisare un nesso di causalità fra eventuali violazioni dei protocolli e gli eventi».