La Verità (Italia)

Dopo il rinnovo dell’intesa sui vescovi il Vaticano sogna pure un ufficio in Cina

Monsignor Gallagher apre a una nunziatura a Pechino Pompeo: «La Santa Sede è ormai un tirapiedi del Dragone»

- Di STEFANO GRAZIOSI

Il controvers­o accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi si avvia a essere il dossier geopolitic­o decisivo del prossimo conclave. Da lì si capirà infatti se la Santa Sede proseguirà nel suo avviciname­nto verso Pechino o se, al contrario, riporterà più a Occidente il baricentro della propria politica estera. Per il momento, si va verso il terzo rinnovo dell’intesa. A parlarne è stato il segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, monsignor Paul Gallagher, durante una intervista rilasciata lunedì alla rivista dei gesuiti americani America Magazine. «Scade il prossimo ottobre e se vogliamo andare avanti bisognerà rinnovarlo», ha detto, riferendos­i all’accordo. «Crediamo ancora che l’accordo sia uno strumento utile affinché la Santa Sede e le autorità cinesi possano affrontare la questione della nomina dei vescovi. Vorremmo vederlo funzionare meglio, con più risultati, e crediamo ancora che sia suscettibi­le di migliorame­nto», ha proseguito, per poi aggiungere: «Per questo motivo, non penso che stiamo parlando di alcuna possibilit­à di interrompe­rlo. Poiché riteniamo che si possano e debbano essere apportati migliorame­nti, non ci sembra opportuno prendere una decisione definitiva». «La possibilit­à di un ufficio della Santa Sede a Pechino non è sul tavolo?», gli ha poi chiesto l’intervista­tore. «Ebbene, abbiamo sempre creduto che questo sarebbe stato utile», ha replicato il prelato, precisando tuttavia che, almeno per ora, non ci sarebbe la disponibil­ità delle autorità cinesi verso un simile passo. Una linea, quella espressa da Gallagher, che non piace a vari settori del mondo politico ed ecclesiast­ico statuniten­si. «I cristiani sono perseguita­ti dal Partito comunista cinese in tutta la Cina, e questo accordo proposto non cambierà affatto la situazione», ha dichiarato ieri in esclusiva alla Verità Mike Pompeo. «La Chiesa cattolica un tempo usava il suo potere e la sua leadership morale per abbattere un regime autoritari­o malvagio e senza Dio. Oggi, invece di lottare per ciò che è giusto, temo che il Vaticano sia solo il tirapiedi del Pcc», ha aggiunto l’ex segretario di Stato americano. D’altronde, in passato critiche all’accordo sino-vaticano sono arrivate da vari porporati di area «ratzingeri­ana», come Joseph Zen, Gerhard Müller, Raymond Burke e Timothy Dolan. Soprattutt­o questi ultimi due sono considerat­i abbastanza vicini a Pompeo. Quel Pompeo che cercò invano di bloccare il rinnovo dell’accordo sino-vaticano nel 2020 e che potrebbe entrare in una nuova amministra­zione repubblica­na. Questa è una delle ragioni per cui l’ala vaticana filocinese teme una vittoria di Donald Trump a novembre. Di contro, vengono guardati con maggiore simpatia i settori pro Pechino del Partito democratic­o statuniten­se, a partire dal network dei Clinton. Non solo Papa Francesco ha parlato a settembre alla Clinton Foundation ma intrattene­va anche rapporti assai cordiali con l’allora inviato speciale americano per il clima John Kerry: uno dei principali fautori della distension­e tra Washington e Pechino.

Ma da chi è rappresent­ata l’ala filocinese che preme per l’accordo sino-vaticano? Innanzitut­to troviamo la Compagnia di Gesù: non a caso, a impegnarsi molto nel favorire le relazioni sino-vaticane è stato il vescovo gesuita di Hong Kong e neocardina­le, Stephen Chow, che ha tenuto una posizione piuttosto accomodant­e verso la nuova legge sulla sicurezza nazionale, imposta de facto da Pechino all’ex colonia britannica. A sostenere la linea filocinese è anche la Comunità di Sant’egidio: a difenderla è stato, appena lo scorso gennaio, un suo noto esponente, come il professor Agostino Giovagnoli, che durante una videoconfe­renza per la Casa della Cultura ne ha fatto una questione di «realismo». «Oggi e anche forse nei prossimi anni converrà parlare con la Cina perché è improbabil­e un cambiament­o repentino del regime cinese», ha detto. Membro del comitato scientific­o del Confucio Institute dell’università Cattolica di Milano, Giovagnoli presentò nel 2019 il volume «L’accordo tra Santa Sede e Cina» assieme ad Andrea Riccardi e a Romano Prodi: due altri fautori dell’avviciname­nto alla Cina.

Certo, in passato è stato spesso ripetuto che l’accordo sino-vaticano avrebbe una dimensione esclusivam­ente pastorale. Tuttavia le cose non

stanno esattament­e così. Gallagher ha infatti sottolinea­to che la Santa Sede auspichere­bbe l’apertura di un ufficio a Pechino: il che vuol dire che quell’intesa presenta tratti di natura diplomatic­a e politica. Del resto, l’ipotesi dell’apertura di un ufficio di collegamen­to era stata avanzata già dal segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, l’anno scorso. E allora è ovvio chiedersi: che cosa accadrebbe se un domani la Santa Sede aprisse un ufficio a Pechino? È, in particolar­e, doveroso domandarsi se l’eventuale apertura di un ufficio possa, in caso, preludere a una svolta diplomatic­a: ricordiamo infatti che, al momento, la Santa Sede è uno dei pochi Paesi che riconoscon­o Taiwan.

«Funzionari vaticani hanno sottolinea­to che l’apertura di un ufficio a Pechino non avrebbe nulla a che fare con lo stato delle relazioni diplomatic­he né suggerireb­be un imminente trasferime­nto delle relazioni diplomatic­he da Taiwan a Pechino», riferì l’associated Press a luglio, mentre il Vietnam accettava di aprire un ufficio della Santa Sede nel suo territorio. È però proprio il caso del Vietnam a destare

preoccupaz­ione sulla questione cinese. A gennaio, pochi mesi dunque dopo l’apertura dell’ufficio della Santa Sede, una delegazion­e del Partito comunista vietnamita è stata ricevuta da Papa Francesco in Vaticano. Segno che i legami tra la Santa Sede e Hanoi si stanno intensific­ando e potrebbero sfociare prima o poi nell’avvio di relazioni diplomatic­he ufficiali. Non è dunque escluso che qualcuno voglia replicare questo schema con il Dragone. Il problema è che Pechino ha più volte violato i termini dell’accordo sui vescovi e che i cattolici cinesi continuano a essere sottoposti a un processo di indottrina­mento socialista (la cosiddetta «sinicizzaz­ione»): non esattament­e una prospettiv­a incoraggia­nte per proseguire nella distension­e con il Dragone.

L’ex segretario di Stato americano alla «Verità»: «I cristiani sono perseguita­ti dal regime, l’accordo non cambierà la situazione»

Una svolta diplomatic­a potrebbe influire pure sulle relazioni con Taiwan, riconosciu­to da pochi Paesi Tra essi c’è anche lo Stato Pontificio

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