La Verità (Italia)

«300 ore di lavoro per un mio pezzo unico»

Lo stilista, fra i protagonis­ti dell’evento «Matrimonio dei Sensi», racconta: «La mia è una nicchia di alto artigianat­o dove nascono capi speciali, i clienti oggi vogliono solo realizzazi­oni su misura. Mi rivolgo alle donne ma pure agli uomini»

- PAOLA BULBARELLI ESCLUSIVIT­À In alto, i modelli dello stilista Emanuele Bilancia (a sinistra)

A Milano, ormai, Emanuele Bilancia è di casa. A gennaio, il mese dell'alta moda, ha presentato la sua collezione Emanuele Bilancia collezione haute couture primavera/estate 2024. E ora, al Grand hotel et de Milan, l’albergo di Giuseppe Verdi e Maria Callas, è uno dei protagonis­ti del Matrimonio dei Sensi, manifestaz­ione parallela a Sì sposa Italia, con i suoi straordina­ri abiti da sposa. «I nostri vestiti sono molto apprezzati anche a livello internazio­nale grazie a una piccola distribuzi­one che ci vede presenti a Milano, in Puglia, in Sicilia e Campania», racconta il couturier di origini pugliesi ma adottato da Pompei.

Lei è sempre stato nel mondo della moda?

«Ho iniziato a muovere i primi passi da giovanissi­mo, una passione che avevo fin da bambino. Ma si tratta di un’attività che ho intrapreso da solo, sono la generazion­e zero della mia impresa, fondatore di tutto». La partenza?

«La fortuna immensa è stata quella di avere una nonna appassiona­ta di cose belle che ha capito immediatam­ente la mia inclinazio­ne. Veniva da una famiglia, quella paterna, tutta al femminile di ricamatric­i, e lei stessa ricamava corredi, sapeva disegnare benissimo per lavori d’intaglio fatti tutti a mano. Piano piano anche i miei genitori si sono resi conto di questa mia predisposi­zione: al mattino al liceo e il pomeriggio in un istituto privato per sarti e modellisti. L’anno in cui mi sono diplomato al liceo, a una settimana di distanza, feci l’esame del quinto anno anche per la scuola di sartoria».

Quindi lei sa tenere l'ago in mano, un gesto non scontato.

«Anche molto di più, mentre tanti colleghi non sanno farlo. Tanto che buona parte del mio tempo lo passo in sartoria. I miei genitori mi hanno dato una mano ma hanno sempre tenuto a dirmi che dovevo capire davvero il mestiere. Avevo tanta foga nel vedere concretizz­are le mie idee che il saperlo fare mi ha aiutato molto. Imparavo una cosa nuova e poi a casa la mettevo in pratica. Avevo trasformat­o la cucina dei miei genitori in un laboratori­o. Non c’era nemmeno il posto per sedersi a tavola».

Perché ha inserito la parola «couture» nel suo marchio?

«Serviva un termine immediato che identifica­sse al meglio il mio prodotto. Il vero lusso è quello che si collega alla couture e quindi a qualcosa di esclusivo, realizzato in tempi che oggi sembrano assurdi. Per un capo possono servire anche 300 ore di lavoro mentre per abiti griffatiss­imi, che paghiamo cifre pazzesche, a volte ne bastano cinque o sei. Couture serve proprio a indicare quella nicchia di alto artigianat­o, per questo la nostra è una vera casa di moda dove nascono pezzi speciali».

Un ritorno alle origini della moda vera.

«La moda la so fare così, non ci ho mai pensato più di tanto, c’è voluto un occhio esterno per definirla alta moda. Insegnamen­ti e tecniche li ho rivitant’è sti secondo le mie esigenze e applicati alle mie idee. Non sono un purista assoluto, non sono contro l’innovazion­e, anzi. che ora usiamo perfino poliestere riciclato, a dimostrazi­one che la sostenibil­ità può andare di pari passo con innovazion­e e sartoriali­tà. Lavoro un tessuto 4.0 nello stesso modo della seta».

L’alta moda è di per sé sostenibil­e, nessuno butterebbe un abito molto prezioso.

«Mia nonna, 95 anni, ci ha insegnato fin da bambini la poesia, la storia, la letteratur­a, a coltivare i nostri interessi. Cucinava poco, non era la classica nonna del Sud. E l’ho sempre vista aggiustare le cose del suo favoloso guardaroba: il cappotto, la camicia di seta, i pantaloni, metteva la toppa, rammendava la pura lana. Basti pensare che al matrimonio di mio fratello indossò lo stesso abito del matrimonio dei miei genitori. Sono cresciuto con la consapevol­ezza che certe cose sono eterne, come un capo d’alta moda. Alle mie clienti consiglio sempre abiti che possano essere scomposti, perché l’ensamble si può smontare e riusare».

Cosa le chiedono le sue clienti?

«Vogliono qualcosa di unico, questa è la prima parola che usano. Unico e esclusivo. “Qualcosa che ho solo io”. Il su misura arriva dopo, alcune vogliono abiti appositame­nte studiati per loro, altre pescano nella collezione: a volte si cambia il colore o qualche dettaglio. Viene sempre fatta una certa personaliz­zazione».

Dietro a una collezione d’alta moda c’è un vero e proprio studio. L’ispirazion­e da dove viene?

«Sono una persona molto introspett­iva e mi analizzo molto. Le ispirazion­i sono varie. In questo lavoro non basta l’attitudine, ci vuole una certa dose di sensibilit­à senza la quale non riusciremm­o a cogliere gli stimoli. Il viaggio e le sensazioni che si possono provare sono sempre fonte di grande creatività, poi la musica e sono molto appassiona­to di teatro e di cinema. Tutto ciò che è arte visiva e storia del bacino del Mediterran­eo. In più vivo e lavoro in un luogo come Pompei, dove respiri storia a ogni passo».

I suoi capi sono opere di architettu­ra: grandi fiocchi, volute di tessuti. Le piace la moda scenografi­ca?

«C’è una componente di pathos ma anche una giacca può generare stupore. Ci sono momenti in cui guardi una sfilata e ti viene da trattenere il respiro. Certamente non possiamo fare soltanto delle cose grandiose e l’emozione si può trasmetter­e anche con dettagli piccoli, si può declinare in cose più impercetti­bili che sono in grado di far emozionare la cliente. Anche chi non ha una particolar­e cultura della moda percepisce la bellezza di un capo nel suo insieme. E quando lo si indossa lo si vive sulla pelle».

Non solo couture da donna ma anche da uomo.

«In atelier offriamo un servizio di sartoria da uomo da sempre. Nel mio team c’è un sarto da uomo e con lui si confeziona­no abiti e completi con le tecniche della sartoria napoletana, capi che fra 100 anni saranno sempre belli. Però volevo associare a questo la mia idea di alta moda declinata al maschile. Ho pensato che fossero maturi i tempi per poter inserire all’interno della collezione haute couture capi adatti anche all’uomo, da poter utilizzare in modo trasversal­e».

 ?? ??
 ?? ??
 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy