La Verità (Italia)

Case green, ora di colpo si può dire la verità

Una volta approvata la direttiva, «Stampa» e «Corriere della Sera» si «accorgono» che i conti non tornano e tuonano: basta ideologia, meglio investire su scuola e sanità. Tesla ha i magazzini pieni di auto e annuncia il taglio del 10% del personale

- CAMILLA CONTI

È primavera, svegliatev­i bambine, cantava Alberto Rabagliati nella sua Mattinata fiorentina. La primavera è arrivata ed ecco i primi «risvegli». Come quelli notati negli ultimi giorni su alcuni blasonati quotidiani italiani, gli stessi che fino a pochi mesi fa suonavano violini per la transizion­e verde varata da Bruxelles. Succede, dunque, che su La Stampa, Alessandro Barbera parta da una stima di quanto ci costerà da qui al 2030 la nuova direttiva Ue sulle case green (fino a 600 milioni) e si chieda se valga la pena investire una cifra così ingente per migliorare l’efficienza degli immobili. Domanda che da queste parti ci facciamo da lunghi e solitari mesi. «La domanda è più che legittima», scrive Barbera. «Dopo l’esperienza dei superbonus edilizi e 220 miliardi di nuovo debito per ristruttur­are meno del 4% degli immobili italiani, la direttiva europea sull’efficienta­mento delle case è un buon affare per l’italia? Il governo Meloni, che pure inizialmen­te l’aveva sostenuta, dice di no. Proverò qui a spiegare perché non ha tutti i torti». Lezione, quella della Stampa, che chi legge ogni giorno La Verità conoscerà già a memoria. Poi conclude l’articolo invocando «un dibattito serio su come applicare la nuova direttiva sulle case green». Dibattito serio che su queste pagine abbiamo avviato da tempo (ma che per qualcuno meritava solo il bollino di negazionis­mo climatico). Sempre Barbera, su La Stampa di domenica, ha scritto anche un’altra analisi. Titolo: «Se bocciare le case green serve ai conti di scuola e sanità». Nello svolgiment­o, il collega si pone altre domande sulla direttiva Ue: chi pagherà? L’unione europea? Il contribuen­te italiano? O «sarà un onere per i singoli proprietar­i?». Quindi: «Non sarebbe più lungimiran­te aumentare la spesa per combattere la grave crisi demografic­a di un Paese carente di asili, sanità di qualità (al Sud), che offre agli insegnanti retribuzio­ni ben al di sotto del ruolo che svolgono?». Conclusion­e: di fronte a queste domande, «il no del governo Meloni alla direttiva sulle case green appare meno insensato di quel che un europeismo di maniera ci potrebbe spingere a pensare». Alleluia.

L’allarme lo abbiamo lanciato più volte. L’obbligo di mettere in regola un numero elevato di immobili in pochi anni creerà un collo di bottiglia. Chi non ha la liquidità necessaria per intervenir­e dovrà chiedere alle banche fidi che, come già sta accadendo ora, saranno più costosi di quelli applicati alle case con classi energetich­e migliori. Chi, a scendere nella scala della ricchezza, non otterrà il mutuo sarà costretto a vendere la casa. E lo dovrà fare a un prezzo più basso, diventando più povero. La sharing economy andrà bene per le biciclette, già non è il massimo per le auto, ma sulle case inneschere­bbe una spirale di impoverime­nto. Ben felici di non essere più soli a dibattere della questione, andiamo avanti. E sulle pagine del Corriere della Sera troviamo un altro risveglio indotto dalla lettera di un lettore. «Aspettando il nuovo parlamento europeo, quali disposizio­ni potrebbero essere modificate? I nostri futuri rappresent­anti, nei vari gruppi di appartenen­za, dovrebbero rimodulare, per le esose spese da sostenere, le direttive che riguardano sia le “case green” sia le future “auto elettriche” che hanno prezzi elevati e scarsa autonomia. Certamente è importante la transizion­e energetica, ma senza aumentare le difficoltà economiche delle famiglie», scrive il signor Invernizzi al direttore Luciano Fontana. Che finalmente sente la sveglia e, dopo una lunga premessa arriva al dunque dicendo «no a guerre ideologich­e» su case green e lotta alle emissioni.

Perché «non può essere un affare per ricchi, che crea disagio sociale o addirittur­a mette in ginocchio economicam­ente larghissim­a parte degli italiani». Riassumend­o, va bene proteggere l’ambiente ma attenzione a non far finire al verde anche le persone. Giusto. Da queste parti, a forza di scriverne, abbiamo finito l’inchiostro. Ora che arriva anche quello dei «giornaloni» siam contenti. È primavera, l’aria è cambiata. Però, solo dopo che la partita politica sulla direttiva è stata chiusa e forse quando non serve più un altro tipo di narrazione. Accontenti­amoci, più siamo e meglio è. Anche perché non dovremo fare i conti con l’impatto della transizion­e verde solo in casa ma anche in auto con la conversion­e all’elelttrico.

In attesa di risvegli primaveril­i pure su quel fronte, facciamo notare che anche un colosso come Tesla ha i magazzini pieni. E proprio ieri ha annunciato il taglio del 10% la propria forza lavoro a livello globale. In una mail ai dipendenti riportata dall'agenzia Bloomberg, Elon Musk spiega che l’iniziativa è dovuta in alcuni casi alla duplicazio­ne dei ruoli ma soprattutt­o alla necessità di ridurre i costi.

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