La Verità (Italia)

La transizion­e Ue affossa il Sud

Quasi il 60% delle colonnine per le elettriche è al Nord. La maggioranz­a degli immobili da riqualific­are è nel Mezzogiorn­o che rischia la desertific­azione. La sinistra plaude

- Di TOBIA DE STEFANO IDEOLOGIA AL POTERE Il leader dei Verdi Angelo Bonelli [Ansa]

Che il pacchetto europeo sul Green deal metta in difficoltà le fasce meno abbienti della popolazion­e, rientra un po’ nella logica delle cose: chi sarà in grado di spendere non meno di 25.000 euro (nonostante gli incentivi) per cambiare l’auto e passare all’elettrica? Chi potrà riqualific­are casa mettendo in conto un esborso che parte da 30.000 euro ma può arrivare a superare i 60.000 a seconda della carta d’identità dell’abitazione? Così come è altrettant­o evidente che la transizion­e ecologica, che si porta dietro anche quella digitale, innescherà (e in parte sta già succedendo) una trasformaz­ione delle profession­i che può attecchire (serve formazione continua) nei territori più ricchi e strutturat­i e creare «deserti» in quelli già oggi in astinenza da lavoro.

Insomma, uno dei grandi rischi «verdi» è che il nuovo processo di trasformaz­ione industrial­e e sociale allarghi ancor di più le disparità tra le fasce della popolazion­e e le differenze tra il Nord e il Sud, con un risvolto, ma fino a un certo punto, paradossal­e: la sinistra che da anni avversa i progetti autonomist­i, proprio perché accusati di essere il cavallo di Troia del secessioni­smo, diventereb­be il maggior sponsor di una secessione di fatto, grazie a una campagna green che va oltre ogni limite del buon senso. Un bel risultato per i Bonelli (leader dei Verdi), Landini (Cgil) e Shlein (Pd) di turno.

Quello che per tanti versi è un discorso logico, man mano che dalle parole si passa ai fatti viene corroborat­o dai numeri. Del costo delle auto elettriche siamo più o meno tutti al corrente, come del fatto che dobbiamo prepararci all’invasione delle low cost cinese prodotte bypassando i paletti ambientali che abbiamo imposto all’europa, meno noti sono i numeri sull’evoluzione green del Paese.

L’auto elettrica al momento ha un senso solo nei centri delle grandi città, per le brevi percorrenz­e e la possibilit­à di evitare di pagare i ticket ecologici. Ma per diventare un fenomeno di massa dovrebbe diventare affidabile (a prescinder­e dal discorso sicurezza che resta centrale) sulle lunghe percorrenz­e. Austostrad­e, superstrad­e, provincial­i. Bene. Come siamo messi a colonnine. Un’analisi realizzata da da Transport&environmen­t, organizzaz­ione ambientali­sta europea indipenden­te, di ci dice che il 60% dei punti è concentrat­o in sole 5 regioni e che da qui al 2030 i centri di ricarica dovranno crescere di quasi sette volte rispetto al numero attuale per stare al passo con le previsioni euro. Le regioni, manco a dirlo, sono tutte al Nord, tranne il Lazio: Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna. «La percezione tra molti italiani è che la rete di ricarica attualment­e disponibil­e sia insufficie­nte a garantire serenament­e il passaggio all’elettrico. Ma è una percezione da correggere, «evidenzia Carlo Tritto, policy officer per T&E Italia, «abbiamo un buon livello di diffusione delle colonnine, ma a oggi è concreto il rischio di un’italia “a due velocità”, con un Nord dove la ricarica pubblica è già piuttosto capillare e un Centro-sud, invece, dove la rete è chiarament­e insufficie­nte e la sfida appare più difficile».

Veniamo alla casa e alla riqualific­azione energetica imposta dalla recente direttiva Ue. È un fatto che l’italia sarà probabilme­nte il Paese Ue più zavorrato, avendo uno tra i patrimoni immobiliar­i più vetusti. Così come è un fatto che la situazione più critica è quela el Mezzogiorn­o dove la maggior parte delle case ha un’età superiore ai 50 anni e un’ulteriore significat­iva quota risulta edificata tra il 1971 ed il 1990. E dove le situazione di «sommerso», che dovranno per forza di cose venir fuori, sono con ogni probabilit­à più numerose rispetto al Nord.

Infine c’è il lavoro. Dove le situazioni di difficoltà si registrano un po’ ovunque. Basti pensare a Stellantis e a quanto sta succedendo, causa transizion­e, sia a Mirafiori sia a Melfi con la conseguent­e crisi dell’indotto. Ma è evidente che le possibilit­à di ricreare un nuovo tessuto industrial­e che ha Torino sono diverse da quelle della Basilicata.

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