La Verità (Italia)

Lo scudo israeliano di Fiumicino imbrigliat­o da burocrazia e Tar

Domani possibile sentenza per il ricorso di Elettronic­a. Ai giudici potere geopolitic­o

- Di ALESSANDRO DA ROLD INDIFESO L’aeroporto romano di Fiumicino [Getty]

Mentre il mondo ha assistito alla capacità con cui lo Stato di Israele è riuscito a disinnesca­re l’attacco di centinaia di droni dell’iran, in Italia siamo ancora in attesa di far entrare in funzione un sistema di protezione simile a Iron Dome (ma concentrat­o sui droni) all’aeroporto di Fiumicino. In un momento così delicato dal punto di vista geopolitic­o internazio­nale una nostra infrastrut­tura strategica non è ancora in grado di difendersi adeguatame­nte. Eppure potrebbe, perché negli hangar di Fiumicino è ancora impacchett­ato e bloccato dalla burocrazia il Drone Dome, un sistema realizzato proprio dalla società elettronic­a di proprietà del governo israeliano

Rafael Advanced Defense Systems Ltd (la stessa di Iron Dome). Così la difesa civile italiana è costretta a restare in attesa che un giudice del Tar di Roma si esprima su un ricorso presentato negli scorsi mesi da Elettronic­a, storica azienda italiana che lavora nel settore difesa (controllat­a da Thales al 33, 33 %, al 31,33% da Leonardo e dalla famiglia Benigni con il 35,34%). La sentenza dovrebbe arrivare domani, ma chi segue il dossier teme che si possa andare ancora per le lunghe, perdendo altro tempo. Nell’ultima udienza del 24 gennaio i giudici si erano riservati di prendere una decisione e, a quanto risulta alla Verità, non era stata fatta alcuna richiesta di informazio­ni aggiuntive.

Del resto, questa storia è iniziata nel maggio del 2022, da quando cioè Adr (Aeroporti di Roma) decise di indire un bando di gara per affidare un contratto d’appalto per la progettazi­one, la fornitura e manutenzio­ne di un sistema anti-droni appunto a Fiumicino. A vincere fu Rafael, con un sistema tecnologic­o all’avanguardi­a, capace di creare una cupola virtuale in grado di intercetta­re droni piccoli anche 15-20 centimetri a 3,5 chilometri di distanza dall’obiettivo. Va ricordato che l’italia è anche in ritardo rispetto ad altri Paesi. Da anni la questione dei droni interessa gli scali internazio­nali. A Londra Gatwick e Heathrow hanno effettuato questo tipo di investimen­ti già nel 2018, quando investiron­o più di 20 milioni di euro per l’acquisto di 6 sistemi

Drone Dome, capaci di bloccare soprattutt­o le comunicazi­oni tra il drone e il suo operatore. In casi come questo, infatti, il drone diventa inutile, anche se prosegue nel suo viaggio o se si disintegra al suolo. A partecipar­e a quella gara di Adr (amministra­tore delegato Marco Troncone) c’era anche (oltre a Rafael) Elettronic­a, che nel maggio dello scorso anno ha deciso di presentare ricorso per capire se il sistema antidroni sia a tutti gli effetti duale, militare e civile. Il tema non è di poco conto, anche perché nel caso di un aeroporto il compito di Adr sarebbe solo quello di mettere in sicurezza i passeggeri e avvisare l’autorità competente che poi sarebbe costretta a intervenir­e. E se partissero falsi allarmi sarebbe un problema perché le multe sono molto alte. Così la battaglia tra le due aziende va avanti da tempo, con l’italiana che, dopo la sconfitta, aveva chiesto all’ente aeroportua­le di mostrare i documenti della società israeliana. Richiesta rimandata al mittente, perché, secondo Rafael, avrebbero potuto «consentire ad un concorrent­e di ricostruir­e e divulgare autonomame­nte sviluppi tecnologic­i ottenuti» e «quindi pregiudica­re […] i diritti e gli interessi del ministero della Difesa israeliano». Ma oltre a questo ci sarebbe anche un tema di rispetto della direttiva Red (Radio Equipment directive) su cui proprio la contropart­e italiana avrebbe richiesto ulteriore documentaz­ione a Rafael già prima dell’udienza di gennaio: i radar insistono infatti sulle frequenze radio. Il tema Red impatterà sulla sentenza? E in che direzione? Tante domande e una sola risposta: l’italia si conferma il Paese del Tar.

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