Per gli artisti finire bene è sempre un problema
«Se è così difficile cominciare, immaginate come sarà finire». È una delle tante citazioni della poetessa premio Nobel Louise Glück presenti in Gli ultimi giorni di Roger Federer e altri finali illustri, di Geoff Dyer, che ben sintetizza il senso del suo libro. L’ultima fase della carriera dei grandi artisti (ma non solo). Dal campione di tennis a Nietzsche, da Beethoven a Bob Dylan, lo scrittore inglese riflette sul finale sotto ogni declinazione: sportiva, letteraria, filosofica o semplicemente di una fase di vita, sul preciso momento in cui ci si accorge che qualcosa è cambiato, che non si è più quelli di prima. «Si continuano a inseguire le palle importanti - si butta la spazzatura, si riempie e si svuota la lavastoviglie, alle feste ci si gode la botta di benessere indotta dall’alcol, si scopre persino, ogni tanto, un nuovo brano musicale - ma in qualche modo si sa che non si può tornare indietro, che si procede per tentativi, aspettando in un modo o l’altro che tutto finisca». Non è un libro sul tennis, dunque, anche se Dyer ne parla diffusamente e sceglie Federer per il titolo perché «aveva dimostrato ancora una volta che il modo più efficace di giocare a tennis era anche il più bello, e viceversa. Estetica e vittoria potevano andare di pari passo». Sul modo in cui consumiamo i nostri finali, Dyer racconta di Nietzsche nel momento in cui abbraccia il cavallo e la pazzia, la sordità di Beethoven, l’autoplagio di De Chirico. A farla da padrone è sempre il tempo, come descritto sublimemente sempre da Louise Glück: «Un giorno sei un bambino biondo a cui manca un dente; quello dopo, un vecchio a cui manca l’aria».