Nato, per il dopo Stoltenberg nasce la fronda anti Rutte con la benedizione di Trump
Contro il premier olandese, spalleggiato da Usa, Inghilterra, Francia, Germania e Italia si fa avanti il romeno Iohannis. Una partita che si lega al voto americano
La corsa per la poltrona di segretario generale della Nato è partita. Jens Stoltenberg lascerà l’incarico a ottobre. E, almeno per ora, c’è un candidato fortemente favorito: si tratta di Mark Rutte. Il premier olandese uscente ha già ricevuto l’endorsement di vari Paesi membri, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia. Insomma, gran parte della Nato che conta si è schierata con lui. E, almeno a prima vista, appare difficile che non possa farcela. Ricordiamo d’altronde che la scelta del segretario generale dell’alleanza atlantica non avviene tramite una procedura tecnica prestabilita: ha luogo tramite un accordo, raggiunto generalmente dietro le quinte, tra i Paesi membri.
Eppure, nonostante la partita fosse considerata chiusa già a febbraio, il mese successivo è sceso formalmente in campo il presidente della Romania, Klaus Iohannis, esponendo il suo programma in un editoriale apparso su Politico. Tra i vari punti trattati, il leader romeno ha detto di puntare a incrementare la capacità di deterrenza della Nato e di voler sostenere l’ucraina. Ha inoltre chiesto che tutti i Paesi membri raggiungano la soglia minima del 2% di spesa per l’alleanza, invocando anche un maggiore impegno per contrastare le minacce ibride e per rafforzare il partenariato strategico tra Nato e Ue.
La domanda da porsi è: per quale ragione Iohannis è sceso in campo, pur sapendo che Rutte aveva già da tempo l’appoggio di molti Paesi membri, a partire dagli Usa? Non possiamo saperlo con certezza. Tuttavia vale la pena di sottolineare che esistono vari ambienti piuttosto freddi verso l’eventuale scelta di Rutte come leader della Nato. Due settimane fa, Euractiv ha, per esempio, riportato che a non essere convinte del premier olandese sarebbero innanzitutto Ungheria, Romania, Slovacchia e Turchia. Era inoltre metà marzo, quando il ministro degli Esteri lettone, Krisjanis Karins, ha invocato un dibattito più ampio e approfondito prima di optare per Rutte. «Sappiamo tutti che dobbiamo raggiungere un consenso ora tra 32 Stati. Ciò che è mancato è una discussione schietta e aperta su ciò che cerchiamo in un leader», dichiarò.
In secondo luogo, anche le galassie conservatrici americane guardano con scetticismo a Rutte. A inizio aprile, l’ex ambasciatore americano in Romania, Adrian Zuckerman, ha firmato un editoriale su Dcnews, in cui ha lasciato chiaramente intendere di preferire Iohannis per l’incarico di leader della Nato: una posizione che ha sostanzialmente confermato, parlando ieri con La Verità. «Rutte ha sostenuto la costruzione del Nord Stream 2 e il proseguimento delle importazioni russe di gas e di energia per l’europa», ha detto Zuckerman, per poi aggiungere: «Iohannis comprende l’importanza strategica del Mar Nero non solo per la difesa dell’europa, ma anche per il suo benessere economico e commerciale». «Iohannis aveva un ottimo rapporto e condivideva dei valori con il presidente Donald Trump, il prossimo potenziale presidente degli Usa», ha proseguito, parlando con il nostro giornale.
È importante sottolineare che Zuckerman fu ambasciatore a Bucarest tra il 2019 e il 2021 su nomina dello stesso Trump e che è considerato piuttosto vicino a quest’ultimo. Inoltre, quando a ottobre fu interpellato su una possibile candidatura di Rutte ai vertici della Nato, il senatore repubblicano Lindsey Graham rispose: «Non lo conosco. Non mi dice niente». Stretto alleato parlamentare di Trump, Graham è un alto esponente del Gop tutt’altro che isolazionista, oltre che esperto di politica estera. È pur vero che Politico attribuisce a Rutte la capacità di tener testa al candidato repubblicano e finanche quella di andarci d’accordo. Tuttavia, quando era alla Casa Bianca, non è che le relazioni tra
Trump e il premier olandese fossero idilliache.
Il mondo vicino a Trump, insomma, non sembra amare troppo Rutte. Il che pone un rilevante punto interrogativo sull’eventuale ascesa del premier olandese a segretario generale della Nato, soprattutto alla luce delle prossime presidenziali americane. Senza poi trascurare gli equilibri interni al fianco orientale dell’alleanza atlantica: se l’estonia appoggia Rutte, abbiamo visto che la Lettonia appare più scettica. Infine, attenzione anche alle elezioni europee di giugno: il partito del premier olandese, Vvd, fa parte di Renew Europe, mentre il Pnl di Iohannis fa capo al Ppe. Ma sul cammino di Rutte spuntano anche scogli di natura più tecnica. In primis, la Romania attualmente spende il 2,4% del suo Pil per i contributi alla Nato, mentre i Paesi Bassi sono all’1,7%. Questo potrebbe creare delle fibrillazioni, soprattutto se a novembre Trump dovesse tornare alla Casa Bianca. Un ulteriore elemento da considerare è che la Romania è sempre più attiva nell’alleanza atlantica. Basti pensare che, proprio in questi giorni, sta coordinando la poderosa esercitazione Sea Shield 24 in un’area strategica come quella del Mar Nero. Infine, Rutte è stato in Cina a fine marzo, dove - nonostante la linea dura olandese sui chip e i disaccordi sui diritti umani - ha incontrato Xi Jinping, definendo il Dragone «un importante partner commerciale» e sostenendo che i «Paesi Bassi devono collaborare e impegnarsi in un dialogo con la Cina». Anche questo elemento potrebbe avere un peso, viste le crescenti preoccupazioni nutrite dalla Nato nei confronti del Dragone. Rutte resta il favorito al momento, sia chiaro. Eppure, la partita per la successione a Stoltenberg potrebbe rivelarsi più complicata del previsto.