Accesso abusivo al sistema dei dati: arrestati 3 funzionari delle Entrate
Gli indagati avrebbero ridotto le somme dovute al Fisco in cambio di bustarelle
Corruzione e accesso abusivo al sistema informatico del Fisco. Queste le accuse che hanno portato gli investigatori della Polizia di Stato a eseguire un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali, decisa dal gip di Roma, nei confronti di 6 funzionari dell’agenzia delle entrate, per i reati di corruzione e accesso abusivo al sistema informatico volto ad ottenere le informazioni necessarie a concludere delle pratiche relative ad accertamenti fiscali, contratti di comodato o di successioni.
L’obiettivo era ottenere l'abbattimento totale o la sensibile riduzione delle somme di denaro richieste dal Fisco in cambio di soldi o di pranzi pagati. Nel dettaglio si parla di tre funzionari finiti agli arresti domiciliari mentre per un dipendente dell'amministrazione finanziaria in pensione e altri due professionisti contabili è scattato l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Gli indagati, coinvolti in quello che appare essere un sistema diffuso di corruzione, risulterebbero essere complessivamente 30. L’azione finale è il frutto di approfondimenti coordinati dal pm Carlo Villani e sono partiti da una serie di intercettazioni acquisite in un’altra inchiesta. Secondo il gip il colloquio carpito «dà la dimensione del fenomeno e dello stabile disbrigo di pratiche eseguito dietro compenso di privati».
Per gli investigatori esisteva un rodato sistema attraverso il quale i tre impiegati negli uffici dell’agenzia delle Entrate di Roma 3 e Roma 4 «asservivano la propria pubblica funzione agli interessi privati di alcuni professionisti del settore contabile, dietro compensi in denaro, ovvero il pagamento di pranzi al ristorante», scrive il gip. Le cifre richieste dai pubblici ufficiali, in cambio delle informazioni sulle pratiche fiscali che si volevano alleggerire, variavano a seconda dell’importo dell’avviso o della cartella.
In generale chiedevano dai 100 alle migliaia di euro. L’indagine del gip di Roma non ha potuto fare affidamento su «prove testimoniali o direttamente rappresentative», ma si «fonda sugli esiti di una protratta attività di intercettazione telefonica e ambientale». L’inchiesta ruota attorno al funzionario dell’agenzia delle Entrate, Riccardo Cameo, e ciò che emerge secondo il giudice per le indagini preliminari, è il rapporto «confidenziale del dipendente pubblico con una serie di intermediari privati o professionisti interessati alla risoluzione di questioni collegate alla liquidazione di debiti tributari. L'intermediario mette a parte il pubblico funzionario delle varie questioni che interessano i suoi clienti e chiede il suo impegno ad occuparsene, promettendo di dividere il compenso corrisposto per il servizio dai singoli interessati».
Agli atti c’è un colloquio intercettato tra Cameo, Francesco Maurizio Chiarappa e Marco Crescenzi anche loro sotto accusa, dove il primo racconta di avere «un sacco di pratiche, un sacco di gente che mi deve pagare e che ancora non mi paga. Ti rendi conto? Cioè ti rendi conto che situazione? Con tutto che lavoro tutto il giorno, e non riesco a lavorare i fatti miei. Questa è la tragicità della cosa. Un tempo lavoravo solo le cose mie e lasciavo da parte quelle dell’ufficio, infatti Livio si incazzava e diceva “almeno qualche pratica dell’ufficio la vuoi lavorare?”. Dico “che intendi?”. “Fai 100 pratiche al giorno e non c’è un protocollo del carico non scali niente, da dove cazzo vengono queste pratiche?”. “Va be’”, risponde Crescenzi, “perché parla lui”. “Lui”, replica Cameo, “e lui mi disse “almeno io vengo alle 7. Dalle 7 alle 8.30 faccio i cazzi miei e dopo inizio. Te, invece, vieni quando cazzo ti pare e lavori quello che cazzo di pare”. Allora, dopo, per metterlo buono, mi misi a lavorare per lui».