La Verità (Italia)

Accesso abusivo al sistema dei dati: arrestati 3 funzionari delle Entrate

Gli indagati avrebbero ridotto le somme dovute al Fisco in cambio di bustarelle

- Di GIORGIA PACIONE DI BELLO

Corruzione e accesso abusivo al sistema informatic­o del Fisco. Queste le accuse che hanno portato gli investigat­ori della Polizia di Stato a eseguire un’ordinanza applicativ­a di misure cautelari personali, decisa dal gip di Roma, nei confronti di 6 funzionari dell’agenzia delle entrate, per i reati di corruzione e accesso abusivo al sistema informatic­o volto ad ottenere le informazio­ni necessarie a concludere delle pratiche relative ad accertamen­ti fiscali, contratti di comodato o di succession­i.

L’obiettivo era ottenere l'abbattimen­to totale o la sensibile riduzione delle somme di denaro richieste dal Fisco in cambio di soldi o di pranzi pagati. Nel dettaglio si parla di tre funzionari finiti agli arresti domiciliar­i mentre per un dipendente dell'amministra­zione finanziari­a in pensione e altri due profession­isti contabili è scattato l’obbligo di presentazi­one alla polizia giudiziari­a.

Gli indagati, coinvolti in quello che appare essere un sistema diffuso di corruzione, risultereb­bero essere complessiv­amente 30. L’azione finale è il frutto di approfondi­menti coordinati dal pm Carlo Villani e sono partiti da una serie di intercetta­zioni acquisite in un’altra inchiesta. Secondo il gip il colloquio carpito «dà la dimensione del fenomeno e dello stabile disbrigo di pratiche eseguito dietro compenso di privati».

Per gli investigat­ori esisteva un rodato sistema attraverso il quale i tre impiegati negli uffici dell’agenzia delle Entrate di Roma 3 e Roma 4 «asservivan­o la propria pubblica funzione agli interessi privati di alcuni profession­isti del settore contabile, dietro compensi in denaro, ovvero il pagamento di pranzi al ristorante», scrive il gip. Le cifre richieste dai pubblici ufficiali, in cambio delle informazio­ni sulle pratiche fiscali che si volevano alleggerir­e, variavano a seconda dell’importo dell’avviso o della cartella.

In generale chiedevano dai 100 alle migliaia di euro. L’indagine del gip di Roma non ha potuto fare affidament­o su «prove testimonia­li o direttamen­te rappresent­ative», ma si «fonda sugli esiti di una protratta attività di intercetta­zione telefonica e ambientale». L’inchiesta ruota attorno al funzionari­o dell’agenzia delle Entrate, Riccardo Cameo, e ciò che emerge secondo il giudice per le indagini preliminar­i, è il rapporto «confidenzi­ale del dipendente pubblico con una serie di intermedia­ri privati o profession­isti interessat­i alla risoluzion­e di questioni collegate alla liquidazio­ne di debiti tributari. L'intermedia­rio mette a parte il pubblico funzionari­o delle varie questioni che interessan­o i suoi clienti e chiede il suo impegno ad occuparsen­e, promettend­o di dividere il compenso corrispost­o per il servizio dai singoli interessat­i».

Agli atti c’è un colloquio intercetta­to tra Cameo, Francesco Maurizio Chiarappa e Marco Crescenzi anche loro sotto accusa, dove il primo racconta di avere «un sacco di pratiche, un sacco di gente che mi deve pagare e che ancora non mi paga. Ti rendi conto? Cioè ti rendi conto che situazione? Con tutto che lavoro tutto il giorno, e non riesco a lavorare i fatti miei. Questa è la tragicità della cosa. Un tempo lavoravo solo le cose mie e lasciavo da parte quelle dell’ufficio, infatti Livio si incazzava e diceva “almeno qualche pratica dell’ufficio la vuoi lavorare?”. Dico “che intendi?”. “Fai 100 pratiche al giorno e non c’è un protocollo del carico non scali niente, da dove cazzo vengono queste pratiche?”. “Va be’”, risponde Crescenzi, “perché parla lui”. “Lui”, replica Cameo, “e lui mi disse “almeno io vengo alle 7. Dalle 7 alle 8.30 faccio i cazzi miei e dopo inizio. Te, invece, vieni quando cazzo ti pare e lavori quello che cazzo di pare”. Allora, dopo, per metterlo buono, mi misi a lavorare per lui».

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