Il disastroso esordio dei pittori impressionisti
Quando, 150 anni fa, ci fu la prima esposizione di un collettivo di artisti che, per tecnica e soggetti, voltavano le spalle alle regole canoniche della pittura, fu un fiasco totale. Tra loro c’erano Monet, Renoir, Cézanne: in breve tempo verranno battezzati pittori impressionisti. Coglievano l’attimo della realtà quotidiana, osservando gli effetti dei cambiamenti della luce, delle ombre e delle atmosfere, soffermandosi sull’impressione del momento. Dipingevano all’aperto, per cogliere le sfumature cromatiche e le loro variazioni durante la giornata; pennellate rapide e vivaci, senza il disegno preparatorio, a quei tempi un dogma. Opere che mai sarebbero state accettate al Salon, la sede per antonomasia delle mostre d’arte parigine. Così, nell’immenso atelier del fotografo Nadar, al 35 del boulevard des Capucines, si tenne la prima mostra indipendente di 31 artisti, sette dei quali oggi sono universalmente noti, con 130 opere che avrebbero rivoluzionato la storia dell’arte, facendo da apripista a tutti i moderni. Il biglietto costava un franco, ma gli spettatori furono pochissimi e le recensioni pessime: nel mirino c’era la mancanza di accuratezza delle pennellate e il racconto di una realtà poco nobile, fatta di campagne, animali, persone umili. Il termine Impressionismo, dalla critica, fu coniato in senso dispregiativo. Oggi, quelle 130 opere sono celebrate a Parigi al Musee d’orsay e gli impressionisti festeggiati con esposizioni in tutto il mondo. Cézanne e Renoir al Palazzo Reale di Milano; mentre a Padova, a Palazzo Zabarella, «Da Monet a Matisse» raccoglie una sessantina di opere provenienti dal Brooklyn Museum di New York.