La Verità (Italia)

Sulla vita Pasolini dà ancora fastidio

Il regista Ferrario prova a negare su «La Lettura» che l’intellettu­ale fosse contro l’aborto e stesse con i poliziotti. Un travisamen­to che si spaccia per il suo contrario

- Di GIUSEPPE POLLICELLI

Sull’ultimo numero de La Lettura, il supplement­o settimanal­e del Corriere della Sera dedicato ai temi culturali, il regista cinematogr­afico Davide Ferrario si inserisce in due dei principali dibattiti politici di questi giorni: quello sulla proposta di emendament­o, avanzata da Fratelli d’italia, al decreto legge che mette in atto il Pnrr (emendament­o relativo alla legge 194 sull’interruzio­ne di gravidanza); e quello sui sempre più frequenti tafferugli che in Italia si verificano tra poliziotti e studenti di sinistra indiscrimi­natamente favorevoli ai palestines­i e altrettant­o radicalmen­te ostili a Israele.

Per offrire il suo contributo alle discussion­i in corso, Ferrario tira in ballo (ancora una volta, verrebbe da dire) Pier Paolo Pasolini. L’aspetto più rilevante dell’intervento di Ferrario pubblicato su La Lettura, il cui titolo è «Il cattivo uso di Pasolini», è che in esso l’autore

fa, buon ultimo, per l’appunto un cattivo uso di Pasolini. Ferrario scrive a un certo punto che a Pasolini è capitato di «essere ridotto a innocuo santino dentro una serie di luoghi comuni prodotti da quell’acculturaz­ione di cui era stato tra i primi a parlare». Il paradosso, ripetiamo, è che a tale (incontesta­bile) riduzione a innocuo santino dà il suo apporto proprio Ferrario, travisando e rielaboran­do a proprio piacimento quanto Pasolini ebbe a sostenere sia sull’aborto sia sugli scontri tra celerini e studenti. Afferma Ferrario nelle ultime righe del suo pezzo: «Finisce così che perfino esponenti della destra arruolino il pensiero di Pasolini come “cosa loro”, che si tratti di poliziotti o del suo famoso articolo contro l’aborto. Pasolini era contro l’aborto perché, nella sua visione, era un disincenti­vo all’omosessual­ità: sarebbe meglio dirlo all’onorevole Pillon». Premesso che i tentativi di «arruolamen­to» di

Pasolini sono sempre sconsiglia­bili, quel che dice Ferrario non è vero. O almeno, è vero soltanto in parte. Molto in parte. Una volta per tutte: nel suo famoso editoriale uscito sul Corriere della Sera il 19 gennaio 1975, certamente Pasolini - svolgendo un ragionamen­to piuttosto cervelloti­co che toccava anche la problemati­ca ecologica - manifestav­a la preoccupaz­ione che la legalizzaz­ione dell’aborto favorisse - nel quadro di una falsa liberalizz­azione da leggersi in realtà come coercizion­e imposta dal «nuovo fascismo» (cioè la società dei consumi) - l’incremento del coito eterosessu­ale a discapito dei rapporti omosessual­i, ma la prima motivazion­e del suo opporsi all’aborto, piaccia o no, era un’altra. Ed era la stessa motivazion­e che anima Simone Pillon e, in generale, le associazio­ni pro vita. Non a caso è con questa motivazion­e, e con parole inequivoca­bili a meno di non essere in malafede, che Pasolini dava avvio al suo articolo: «Sono però traumatizz­ato dalla legalizzaz­ione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzaz­ione dell’omicidio. Nei sogni, e nel comportame­nto quotidiano - cosa comune a tutti gl’uomini - io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente». E ancora, più avanti: «Basterebbe che tutto ciò fosse democratic­amente diffuso dalla stampa e soprattutt­o dalla television­e, e il problema dell’aborto verrebbe in sostanza vanificato, pur restando, come deve essere, una colpa, e quindi un problema della coscienza». Più chiari di così è impossibil­e essere: sarebbe meglio dirlo a Ferrario (e infatti ci stiamo provando).

Quanto a poliziotti e studenti, Ferrario - facendo riferiment­o a una nota poesia

che Pasolini compose dopo i moti romani di Valle Giulia del marzo 1968 e che venne anticipata dal settimanal­e L’espresso - scrive: «“Pasolini stava con i poliziotti”: l’ultimo a dirlo, dopo le manganella­te sugli studenti di Pisa, è stato Antonio Tajani. Ma è vero? No, non lo è mai stato». E invece è verissimo, e il bello è che poco dopo Ferrario si spiega da solo le ragioni per cui, nella circostanz­a, Pasolini stava con i celerini: «Se Pasolini “sta con i poliziotti”, ci sta perché li considera sfruttati dal potere, proprio quello incarnato dai ministri». Esattament­e. Quel potere, ma questo Ferrario si guarda dal dirlo, di cui gli studenti contestato­ri (e borghesi, a differenza dei poliziotti proletari) secondo Pasolini erano a loro volta un’incarnazio­ne. Di lì a poco, resosi conto di essersi attirato (con quella poesia da lui stesso poi definita «brutta», forse perché in realtà è prosa e non poesia) l’odio viscerale di tutto il movimento studentesc­o,

Pasolini proverà a fare marcia indietro, tra le altre cose intensific­ando la sua collaboraz­ione con Lotta continua, ma ciò che in quel momento egli pensava resta scritto nero su bianco e, di nuovo, basta leggerlo senza i paraocchi. Tanto più che l’analisi pasolinian­a sembra trovare conferma ancora oggi, a quasi mezzo secolo di distanza, in parole come quelle del professor Angelo d’orsi, appena denunciato alla magistratu­ra da due sindacati della polizia per aver affermato che, a suo giudizio, i celerini ricorrono ai manganelli in quanto drogati e, attenzione, «per una sorta di rivalsa sociale verso lo studente, quasi invidia: tu stai studiando e sei un privilegia­to, io sto qui a farmi massacrare con stipendi bassi». Attualità di Pasolini. Ma di quello vero, non del santino che Ferrario (come troppi altri) a parole dice di non amare e che, invece, contribuis­ce a consolidar­e.

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OLTRE Pier Paolo Pasolini in un manifesto di Pro vita & famiglia [Ansa]

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