La rettrice che censurò Dostoevskij adesso fa la morale sui boicottaggi
La conferenza dei dirigenti delle università stila un documento: «Noi contro i conflitti, ma dialoghiamo» Eppure, dopo l’invasione dell’ucraina, proprio la presidente della Crui sospese le lezioni di Paolo Nori
ll sapere e la scienza sono uno strumento di pace e le università «non sono di parte». Lo dice la Crui, la magnifica conferenza dei magnifici rettori, ricordando che gli atenei «sono contro la guerra ma non tagliano i ponti». L’appello arriva mentre in mezza Italia si discute se interrompere qualsiasi rapporto con le università di Israele. Banalità a parte, i contenuti del documento uscito dai rettorati sono anche condivisibili, soprattutto quando la Conferenza ricorda che le università devono «formare persone dotate di capacità critica». Tuttavia è sempre la memoria che completa la sullodata capacità critica e allora come dimenticare che quando la Russia invase l’ucraina in alcune università scattarono veti contro gli enti di Mosca e la cultura russa, fino al punto di censurare Fëdor Dostoevskij e il russologo Paolo Nori? Quando c’è di mezzo la Nato, evidentemente, i bei principi della Crui possono andare a farsi benedire.
Dopo giorni di polemiche furiose, decisioni in ordine sparso e scontri tra polizia e collettivi degli studenti, i professori dei professori hanno ben compreso che questa storia dei boicottaggi contro Israele sta degenerando. E così la giunta della Crui ha approvato un documento intitolato «Buone prassi, principi e proposte per affrontare nelle università italiane le tematiche delle crisi internazionali e umanitarie», affidato con il bilancino ai rettori Tomaso Montanari (Siena), Francesco Bonini (Lumsa), Tiziana Lippiello (Ca’ Foscari) e Roberto Tottoli (Orientale di Napoli).
I rettori partono con la giusta umiltà: «La mobilitazione di tante e tanti, a cominciare dalle studentesse e dagli studenti universitari, deve farci riflettere. Come per la tutela dell’ambiente, anche contro la guerra i giovani ci chiedono di assumerci delle responsabilità. Questa istanza non può rimanere inascoltata». I giovani chiedono e quindi loro si offrono, incominciando con un piccolo sermone su quale sia il ruolo delle università, che non è soltanto «quello di preparare i lavoratori del futuro» (precisazione un po’ agghiacciante), «ma innanzitutto di formare persone dotate di capacità critica, di profondità di pensiero, di visione, di storia». Non poteva quindi mancare un riferimento alle parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che a Trieste nei giorni scorsi aveva auspicato la tutela del collegamento «tra gli atenei di tutti i Paesi al di sopra dei confini e al di sopra dei conflitti fra gli Stati».
E dopo aver sottolineato l’appello del capo dello Stato a favorire «la forza del dibattito, della critica e del dissenso», la Crui sostiene che le università possono e devono rappresentare «un veicolo per la costruzione della pace tra i popoli» e devono restare sempre «luoghi privilegiati di apprendimento della diversità e della pari dignità di ogni essere umano in ogni sua espressione». E quindi, luoghi «che ospitano incontri finalizzati al confronto e al contradditorio critico garantendo la pluralità dell’offerta culturale
in ateneo».
Infine, scende in campo anche Giovanna Iannantuoni, presidente della Crui, per ribadire che «non c’è nessun boicottaggio da parte degli atenei italiani nei rapporti scientifici esistenti con le università israeliane. Nessun ateneo ha mai votato per il boicottaggio della collaborazione scientifica, solo alcuni Senati accademici per la sospensione di singoli bandi». E al Viminale manda a dire: «Non abbiamo bisogno di azioni preventive o misure speciali da parte delle forze dell’ordine».
Insomma, provando a ricapitolare la posizione ufficiale del sinedrio dei rettori, le università si considerano strumento di pace, luoghi aperti a tutti e al libero scambio di opinioni, protettrici del pensiero critico, nonché istituzioni pluraliste e aperte al massimo confronto di idee, senza mai cedere ai boicottaggi.
Difficile non essere d’accordo, anche se in generale una riflessione più matura sul boicottaggio come libera espressione del dissenso individuale rientrerebbe tra i temi su cui confrontarsi. Dopo l’invasione dell’ucraina da parte della Russia, a febbraio di due anni fa, non è stato facile distinguere tra le colpe di Vladimir Putin e quelle del suo popolo e chiunque si sia smarcato (magari anche sparando baggianate) dalla vulgata Nato è stato o sbeffeggiato o zittito. E protagonista di quel boicottaggio fu proprio la rettrice della Bicocca, Giovanna Iannantuoni (che poi si scusò tardivamente). Insomma, quella famosa tutela del «pensiero critico» che oggi la Crui ritrova per gli atenei di Israele non è stata sempre chiaramente percepita. Un caso eclatante di intolleranza è stato, due anni fa, impedire al russologo Paolo Nori di tenere le sue seguitissime lezioni su Dostoevskij a Milano Bicocca. Per superare il veto dell’ateneo, Nori avrebbe dovuto parlare anche di analoghi romanzieri ucraini che però gli sfuggivano. Meno eclatante, ma certo poco in linea con il garantismo odierno, anche l’iniziativa della Normale di Pisa, che a marzo di due anni fa annunciò di aver sospeso «ogni forma di collaborazione istituzionale e ogni accordo di scambio con le università russe i cui rettori hanno sottoscritto un documento in cui avallano l’invasione dell’ucraina». Il problema è che o tutti hanno diritto di parola (e di ricerca), o tutti hanno diritto di non essere d’accordo (e boicottare). Ma il doppio registro a seconda delle nazioni coinvolte in una guerra sa tanto di ipocrisia.