L’uomo di Togliatti confessò a De Mita che il comunismo fu un errore storico
A Porta Portese spunta una lettera del segretario del Migliore, che ruppe col Pci quando seppe degli abusi di Tito sugli italiani
Si era alla fine di novembre del 1984. Enrico Berlinguer era morto da pochi mesi, ucciso da un’emorragia cerebrale mentre, l’11 di giugno, teneva un comizio a Padova, e l’emozione suscitata dalla sua scomparsa - e dal suo essere caduto per così dire «sul campo» - aveva procurato al Partito comunista italiano una messe di consensi che, alle elezioni europee svoltesi una settimana dopo la morte del segretario, consentì al Pci uno storico sorpasso, seppur di misura, sulla Democrazia cristiana. Solo tre anni prima, nel 1981, dopo il colpo di Stato in Polonia guidato dal generale Wojciech Jaruzelski (e, l’anno precedente, la marcia dei 40.000 impiegati della Fiat contro i picchettaggi imposti dalla Cgil), Berlinguer aveva dichiarato esaurita la «spinta propulsiva» originata dalla Rivoluzione d’ottobre del 1917.
Eppure, in quel 1984 nel quale era già iniziato il lacerante dibattito interno che di lì a non molto, dapprima con la caduta del Muro di Berlino e poi con il crollo dell’urss, avrebbe condotto alla trasformazione del più grande partito comunista europeo nel Partito democratico della sinistra, c’era ancora chi, parlando con cognizione di causa avendo fatto parte della storia del Pci, riteneva di dover mettere in guardia i propri interlocutori circa la pericolosità del comunismo e la minaccia per la libertà da esso rappresentato. L’uomo in questione si chiamava Italo de Feo (nato nel 1912 in provincia di Avellino e scomparso a Roma nel 1985), in quel momento - appunto alla fine di novembre del 1984 presidente del Sindacato libero scrittori italiani, sorto nel 1970 distaccandosi dal Sindacato nazionale degli scrittori poiché quest’ultimo, sono parole dello storico Francesco Giubilei, «impediva di scindere la cultura dalla politica e soffocava ogni voce non allineata ai dogmi del progetto di egemonia culturale di gramsciana memoria».
Reca proprio l’intestazione del Sindacato libero scrittori italiani la significativa lettera, scritta da de Feo il 23 novembre 1984, che un paio di settimane fa è stata rinvenuta su una bancarella del mercato romano di Porta Portese dallo studioso e collezionista Giuseppe Garrera. Il documento, inedito, viene ora pubblicato dalla Verità, che ha ricostruito chi fosse il destinatario della lettera. Si tratta di Ciriaco De Mita, all’epoca segretario della Democrazia cristiana, il quale, oltre a essere irpino come de Feo (che nella missiva scrive «lei appartiene alla mia stessa gente»), in occasione di un ricordo di Aldo Moro svoltosi a Benevento pochi giorni prima aveva affermato, riferendosi all’atteggiamento di «scontro e demonizzazione dell’avversario» che a suo avviso caratterizzava in quel momento il Pci guidato da Alessandro Natta: «Da oggi sono anticomunista».
Prima presidente e poi vicedirettore della Rai (tra il 1964 e il 1975), Italo de Feo aveva alle spalle, nel 1984, un’intensa carriera politica, avviata nel 1943 come capo dell’ufficio stampa del Comitato di liberazione nazionale e proseguita nel Pci - in qualità di segretario e collaboratore personale di Palmiro Togliatti - dal 1944 al 1947, anno in cui venne sospeso da ogni attività del partito per le ragioni da lui stesso raccontate nel libro autobiografico del 1971, Tre anni con Togliatti: «Avevo letto un rapporto sulla situazione dei nostri connazionali in Jugoslavia, e l’indegno trattamento ch’era loro fatto non in quanto fascisti ma semplicemente perché italiani. E non avevo esitato, secondo il mio temperamento, a dirne quello che pensavo».
Dopo la rottura con il Pci, de Feo aderì al Partito socialdemocratico fondato dal suo amico personale Giuseppe Saragat, futuro presidente della Repubblica.
Non sappiamo se l’epistola indirizzata a De Mita sia stata effettivamente spedita o se invece sia rimasta chiusa nei cassetti di de Feo: è comunque un particolare trascurabile, mentre della lettera rimangono rilevanti i contenuti, i moniti e il suo valore di testimonianza storica.
La missiva risale al novembre 1984: l’emozione provocata dalla morte di Berlinguer aveva contribuito all’inaudito sorpasso dei rossi sulla Dc
L’autore si era avvicinato a Saragat ed era presidente del Sindacato liberi scrittori. Non si sa se le pagine siano state spedite al politico democristiano irpino