Due anni fa Scurati aveva trovato il suo Duce e osannava Mario Draghi
Nel luglio 2022, lo scrittore che oggi si atteggia a dissidente scrisse una lettera aperta all’allora premier lodandone il «piglio del dominatore» e sottolineando che i suoi avversari «non valgono una sua unghia»
■ Non ditelo ad Antonio Scurati, sennò ci resta male, ma in lui c’è qualcosa che ricorda da vicino il fascismo. Certo, con una spruzzata di Fantozzi, a rendere il tutto meno inquietante, ma non ci sono dubbi che fosse dagli anni del consenso mussoliniano che in Italia non si leggevano, nei confronti di un capo del governo, parole intrise di cortigiana piaggeria paragonabili a quelle che, con un’accorata missiva, lo scrittore napoletan-milanese (fresco, come è noto, di «censura» Rai) rivolse il 17 luglio del 2022 all’allora presidente del Consiglio Mario Draghi, in quel momento prossimo a rassegnare la dimissioni da premier. Proviamo a recuperare alcuni passaggi di quell’indimenticabile lettera, iniziando dal folgorante incipit: «Esimio Presidente Draghi, mi scuso in anticipo di queste mie parole. Le sto, infatti, scrivendo per chiederle di umiliarsi. Le sue dimissioni non sono verosimilmente dettate da un moto d’orgoglio ma, par di capire, da un contesto deteriorato al punto da rendere impossibile il grave compito che si era assunto». Un attacco di tutto rispetto, indiscutibilmente, ma il seguito non delude affatto: «Qualunque cosa si voglia pensare di lei, non si può negare che la sua sia la storia di un uomo di straordinario successo. Durante tutta la sua vita, lei ha bruciato le tappe di una carriera formidabile. Prima da Governatore della Banca d’italia e poi da Presidente della Banca centrale europea, lei ha retto le sorti di una nazione e di un continente; le ha tenute in pugno con il piglio del dominatore, sorretto da una potente competenza, baciato dal successo, guadagnando una levatura internazionale, un prestigio globale, un posto di tutto rispetto nei libri di storia. Ha conosciuto il potere, quello vero, ha conosciuto la fama degli uomini illustri, la vertiginosa responsabilità di chi, da vette inarrivabili, decide quasi da solo della vita dei molti». E ancora:
«Ora lei, pur dovendo fronteggiare una pandemia, una guerra, una crisi economica con pochi precedenti e una ambientale senza uguali, è spinto alle dimissioni da un accanito torneo di aspirazioni miserabili, da sudicie congiure di palazzo, da calcoli meschini, irresponsabili e spregiudicati di uomini che, presi singolarmente, non valgono un’unghia della sua mano sinistra». Ci sembra che possa bastare. Lo ribadiamo: per imbattersi in qualcosa di simile occorre ritornare ai primi anni Trenta del secolo scorso, quelli del Mussolini trionfante, oppure bisogna riferirsi a un personaggio di fantasia, il già citato Fantozzi di Paolo Villaggio mentre si applica nella roboante e grottesca adulazione di un qualche megadirettore galattico. Si dirà: Scurati ha tutto il diritto di stravedere per Draghi , e di farlo sapere, e di considerare invece una dittatrice in pectore l’attuale premier Giorgia Meloni, e di far sapere anche questo. Certo che sì, ci mancherebbe. A maggior ragione visto che, vivendo per fortuna - checché ne pensino Scurati e altri - in una democrazia e non in un regime autoritario, per come si sono messe le cose tale scritto ha avuto ha avuto un’eco e una diffusione a dir poco eclatanti. Non solo: in occasione del 25 aprile il discorso (già promosso da Repubblica al rango, nientemeno, di «monologo») verrà recitato in pubblico in vari luoghi d’italia. Per esempio a Napoli, dove Anpi e Cgil hanno annunciato che sarà letto in Largo Berlinguer (dove sennò?) unitamente agli articoli della Costituzione.
È tuttavia curioso che Scurati percepisca come regime l’esecutivo Meloni, ogni giorno legittimamente bombardato di critiche dalle principali testate giornalistiche nazionali e alle prese con un’opposizione agguerritissima, e al contrario ritenesse un distillato di democrazia il governo Draghi, quando i media erano per la quasi totalità intenti al supporto e all’elogio indiscriminati, e all’opposizione c’era solo il partito della futura Ducessa Giorgia.
Per dire, quando a maggio del 2022 - appena due mesi prima che lo scrittore vergasse la sua epistola amorosa - Draghi attaccò il giornalista di Mediaset Giuseppe Brindisi per aver egli osato intervistare il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, a cui secondo l’ex governatore di Bankitalia non si sarebbe dovuto concedere la parola, Scurati non mostrò nessuna indignazione né alcuna preoccupazione per la sorte delle libertà fondamentali nel nostro Paese. È perché l’episodio non lo riguardava in prima persona? Ma gli allarmi lanciati da Scurati nel suo discorso poi non mandato in onda precedono il goffo e inefficace teatrino cui abbiamo assistito qualche giorno fa. E la reprimenda a Brindisi giungeva direttamente dal capo del governo in carica, mentre la decisione della Rai è stato la decisione di una dirigenza maldestra e più realista del re che a Scurati ha consentito di cucirsi addosso il sempre proficuo (in democrazia) ruolo di martire.
Insomma, come si spiegano il deliquio al cospetto di Draghi e il timor panico nei confronti della Meloni? Può forse aiutare a comprenderlo proprio un frammento delle righe finali della lettera
La missiva, pubblicata dal «Corsera», intendeva convincere il banchiere a restare
L’afflato mistico: «Lei ha conosciuto la fama degli illustri e vette inarrivabili»
scritta nel 2022 dal romanziere: «Si racconta che un giorno un funzionario disonesto sia stato trascinato al cospetto di Talleyrand. Pare che il piccolo uomo, per giustificare le sue malefatte, abbia detto: “Eccellenza, si deve pur campare”». Ecco: è una frase, quest’ultima, che potrebbe essere illuminante.