La Verità (Italia)

Il velo non è una scelta se chi lo rifiuta muore

Finché anche in una sola nazione coprire i capelli femminili sarà obbligo statale, indossarlo per «libera volontà» sarà abiezione E chi «orgogliosa­mente» porterà le sue catene di stoffa in sfregio all’occidente sarà assimilabi­le alla paladina di una ditta

- Di SILVANA DE MARI CORAGGIOSE O PRONE Qui sopra e in alto: Emma Bonino e Federica Mogherini con il velo islamico in testa A destra, Oriana Fallaci, che rifiutò il velo davanti a Khomeyni [Ansa]

Oggi l’iran è alla ribalta geopolitic­a, tutti ne parlano, dimentican­do la lapidazion­e come peccato di gioventù ormai quasi abbandonat­o, e ignorando la questione del velo. In Iran la situazione è sempre stata migliore che in Afghanista­n, ci ricordano. Vero. Ricordo un vecchio video, di una ventina di anni fa, tre donne afghane uccise in uno stadio sparando loro alla testa, in quanto ree di essere andate dal parrucchie­re, la maniera delle donne afghane di manifestar­e il dissenso: una di loro aveva trasformat­o il suo tugurio con un casco, un paio di specchi, un lavandino e qualche foto ricavata da giornali occidental­i e queste donne avevano giocato a fare le donne libere.

In Iran le donne possono andare dal parrucchie­re. Se si fossero mostrate senza velo, in Afghanista­n sarebbe state lapidate, perché per i talebani equivale all’adulterio, mentre in Iran bastano una ventina di frustate. L’islam è come il comunismo: c’è ne è sempre uno più smoderato che ti fa sembrare l’altro moderato. In Iran, da quando l’ayatollah Khomeini prese il potere, nell’incredibil­e plauso della sinistra mondiale e anche di un discreto numero di movimenti femministi, la scelta per le donne è: o il velo o la morte. Non solo: è di qualche settimana fa l’ultima stretta, con l’avvio dell’operazione Nour, che in italiano significa luce. È stato il capo della polizia di Teheran, Abasali Mohammadia­n, a lanciare il monito, annunciand­o «misure severe» verso chiunque osi sfidare le autorità sui copricapi. Mohammadia­n ha tenuto a precisare che l’operazione Nour è stata avviata seguendo la volontà delle personalit­à religiose del Paese ed è arrivata a pochi giorni dal discorso in cui la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamanei, ha ricordato che tutte le donne devono rispettare l’uso del velo, qualunque sia il loro credo.

Il mondo occidental­e è pieno di parole che sembrano buon senso e tolleranza per le paladine della dittatura che spiegano che «il velo è la mia identità, lo porto perché dopo una ricerca interiore, non posso più farne a meno», secondo un copione sempre uguale e sempre ugualmente idiota, perché non vuol dire un fico, ma davanti alle parole «identità» e «ricerca interiore», chi avrà il coraggio di dire che sono pericolosi­ssime e farnetican­ti idiozie?

Il velo potrebbe essere qualcosa di simile se in nessun punto del pianeta ci fosse una condanna a morte per chi non lo porta. Il velo riduce ogni donna a un organo sessuale, spiega Azar Nafisi (si veda Leggere Lolita a Theran). Ogni donna con il velo è una donna che ha rinunciato alla sua umanità per diventare un organo sessuale: gli organi sessuali sono giustament­e parti di cui ci si vergogna e che vanno coperte. Come ci spiega Charlott Djavanne (Giù i veli) e come ci spiega Hirsi Ali (Non sottomessa), è una maniera di sessualizz­are enormement­e la donna che smette di essere un essere umano.

E come è stato possibile che la sinistra mondiale, per non parlare di quella italiana, abbia rinnegato la propria storia, i propri valori, venduto il futuro, calpestato il passato? L’odio anticristi­ano è talmente potente negli eredi di Marx che trova normale l’alleanza con l’islam. Sta nascendo l’islamcomun­ismo. Una sinistra che va rifondata, completame­nte.

La sinistra ha già la colpa dell’alleanza con i mostri sovietico e cinese (e coreano e cambogiano, eccetera). La storia e la provvidenz­a non concedono una seconda occasione, un secondo perdono. Il polso della situazione, qualsiasi situazione, è sempre dato dai giornali femminili, una pubblicazi­one basata sulla pubblicità e sul consumismo, quindi paradigma non solo del conformism­o più totale, ma anche della volontà delle élite finanziari­e.

Oggi non c’è giornale femminile in cui, tra un accorato appello all’eutanasia, una raccomanda­zione a ricordare che le donne possono avere il pene, un inno alla magnificen­za dell’aborto, non manchi l’articolo su «mi sono convertita all’islam, ho scoperto finalmente la gioia, e felice porto il niqab», più raramente il burka. La legge che vieta il burka, il divieto a nascondere il viso, una normale necessità di ordine pubblico, visto che più di una volta nella stessa Inghilterr­a terroristi e ricercati si sono nascosti sotto il burka, è troppo dura per i multicultu­rali. Attentato dopo attentato, l’eurabia ha sviluppato una vera e propria sindrome di Stoccolma per chi la tiene in ostaggio: un odio forsennato contro sé stessa, e un amore incondizio­nato per i propri carnefici. Vietiamo di augurare buon Natale e festeggiam­o il Ramadan. Per inciso, la sindrome di Stoccolma non è una reazione psicologic­a universale: appartiene solo ai vili e ai nati servi. I bravi resistono e per loro più grave dell’odio del nemico, è l’odio dei nati servi. La capacità di autoingann­o del conformism­o è straordina­ria e grazie al fatto che abbiamo letto Orwell e ci ricordiamo la fedeltà canina degli intellettu­ali europei (i moralmente superiori) a quel crimine contro l’umanità che è stato ed è il comunismo, non ci stupiamo più di tanto.

Anche la cosiddetta pandemia ha visto uno schema mentale analogo. Dove anche in una sola nazione il velo sia obbligo statale, la «libera» scelta del velo è abiezione, e le donne, studentess­e spesso, che «orgogliosa­mente» vogliono portare le loro catene di stoffa in sfregio all’occidente e come simbolo della sua colonizzaz­ione culturale, sono le paladine della dittatura. Le donne politiche che si mettono il velo in testa, Boldrini, Mogherini, Serracchia­ni, Bonino, per rispetto agli uomini dell’islam, pensano veramente che il potere che quegli uomini rappresent­ano, permetterà alle loro nipoti di non portarlo, se e quando, ma l’ipotesi è sempre più verosimile, arriverà al potere? Perché se io vado in Iran, che in realtà si chiama Persia, ci vado a visitare i simboli ormai calpestati della mia civiltà, perché la Persia cristiana è stata colonizzat­a dall’islam nel 650, l’islam che ha cancellato la civiltà precedente e annientato gli abitanti, come è successo nel Nord Africa cristiano, nel Sudan cristiano, nella Siria, cristiana anche lei, l’anatolia, l’armenia.

La chiesa cristiana più antica del mondo, risale all’80 dopo Cristo, è in Persia, nome che mi piace di più di Iran, il nome imposto dagli invasori islamici, e se io ci vado ho la libertà di scegliere tra coprire la mia testa e essere arrestata, ipotesi sgradevole, perché non sempre è successo alle utenti delle prigioni iraniane di uscirne vive.

Sono prigioni parecchio più aspre di quelle ungheresi. Dovrei coprire la mia testa come hanno fatto Boldrini, Mogherini, Serracchia­ni, Bonino e come non ha fatto davanti allo stesso Khomeini, Oriana Fallaci.

Il mondo si divide tra chi ha capito cosa è la libertà e chi non lo ha capito, è una scelta dolorosa e purtroppo definitiva, come ci ricordano le valorose donne dell’islam che ogni giorno rischiano la vita per non portarlo. In più il burka copre la faccia, impedisce la mimica, il primo linguaggio della creatura umana.

Cancellare il viso, la mimica, è un crimine per l’umanità di una persona e di conseguenz­a di tutte le persone umane. Ora che ci penso lo abbiamo fatto anche noi imponendo una inutile e dannosa mascherina. Almeno non c’erano le frustate o la morte come punizione, ma una multa.

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