Il velo non è una scelta se chi lo rifiuta muore
Finché anche in una sola nazione coprire i capelli femminili sarà obbligo statale, indossarlo per «libera volontà» sarà abiezione E chi «orgogliosamente» porterà le sue catene di stoffa in sfregio all’occidente sarà assimilabile alla paladina di una ditta
Oggi l’iran è alla ribalta geopolitica, tutti ne parlano, dimenticando la lapidazione come peccato di gioventù ormai quasi abbandonato, e ignorando la questione del velo. In Iran la situazione è sempre stata migliore che in Afghanistan, ci ricordano. Vero. Ricordo un vecchio video, di una ventina di anni fa, tre donne afghane uccise in uno stadio sparando loro alla testa, in quanto ree di essere andate dal parrucchiere, la maniera delle donne afghane di manifestare il dissenso: una di loro aveva trasformato il suo tugurio con un casco, un paio di specchi, un lavandino e qualche foto ricavata da giornali occidentali e queste donne avevano giocato a fare le donne libere.
In Iran le donne possono andare dal parrucchiere. Se si fossero mostrate senza velo, in Afghanistan sarebbe state lapidate, perché per i talebani equivale all’adulterio, mentre in Iran bastano una ventina di frustate. L’islam è come il comunismo: c’è ne è sempre uno più smoderato che ti fa sembrare l’altro moderato. In Iran, da quando l’ayatollah Khomeini prese il potere, nell’incredibile plauso della sinistra mondiale e anche di un discreto numero di movimenti femministi, la scelta per le donne è: o il velo o la morte. Non solo: è di qualche settimana fa l’ultima stretta, con l’avvio dell’operazione Nour, che in italiano significa luce. È stato il capo della polizia di Teheran, Abasali Mohammadian, a lanciare il monito, annunciando «misure severe» verso chiunque osi sfidare le autorità sui copricapi. Mohammadian ha tenuto a precisare che l’operazione Nour è stata avviata seguendo la volontà delle personalità religiose del Paese ed è arrivata a pochi giorni dal discorso in cui la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamanei, ha ricordato che tutte le donne devono rispettare l’uso del velo, qualunque sia il loro credo.
Il mondo occidentale è pieno di parole che sembrano buon senso e tolleranza per le paladine della dittatura che spiegano che «il velo è la mia identità, lo porto perché dopo una ricerca interiore, non posso più farne a meno», secondo un copione sempre uguale e sempre ugualmente idiota, perché non vuol dire un fico, ma davanti alle parole «identità» e «ricerca interiore», chi avrà il coraggio di dire che sono pericolosissime e farneticanti idiozie?
Il velo potrebbe essere qualcosa di simile se in nessun punto del pianeta ci fosse una condanna a morte per chi non lo porta. Il velo riduce ogni donna a un organo sessuale, spiega Azar Nafisi (si veda Leggere Lolita a Theran). Ogni donna con il velo è una donna che ha rinunciato alla sua umanità per diventare un organo sessuale: gli organi sessuali sono giustamente parti di cui ci si vergogna e che vanno coperte. Come ci spiega Charlott Djavanne (Giù i veli) e come ci spiega Hirsi Ali (Non sottomessa), è una maniera di sessualizzare enormemente la donna che smette di essere un essere umano.
E come è stato possibile che la sinistra mondiale, per non parlare di quella italiana, abbia rinnegato la propria storia, i propri valori, venduto il futuro, calpestato il passato? L’odio anticristiano è talmente potente negli eredi di Marx che trova normale l’alleanza con l’islam. Sta nascendo l’islamcomunismo. Una sinistra che va rifondata, completamente.
La sinistra ha già la colpa dell’alleanza con i mostri sovietico e cinese (e coreano e cambogiano, eccetera). La storia e la provvidenza non concedono una seconda occasione, un secondo perdono. Il polso della situazione, qualsiasi situazione, è sempre dato dai giornali femminili, una pubblicazione basata sulla pubblicità e sul consumismo, quindi paradigma non solo del conformismo più totale, ma anche della volontà delle élite finanziarie.
Oggi non c’è giornale femminile in cui, tra un accorato appello all’eutanasia, una raccomandazione a ricordare che le donne possono avere il pene, un inno alla magnificenza dell’aborto, non manchi l’articolo su «mi sono convertita all’islam, ho scoperto finalmente la gioia, e felice porto il niqab», più raramente il burka. La legge che vieta il burka, il divieto a nascondere il viso, una normale necessità di ordine pubblico, visto che più di una volta nella stessa Inghilterra terroristi e ricercati si sono nascosti sotto il burka, è troppo dura per i multiculturali. Attentato dopo attentato, l’eurabia ha sviluppato una vera e propria sindrome di Stoccolma per chi la tiene in ostaggio: un odio forsennato contro sé stessa, e un amore incondizionato per i propri carnefici. Vietiamo di augurare buon Natale e festeggiamo il Ramadan. Per inciso, la sindrome di Stoccolma non è una reazione psicologica universale: appartiene solo ai vili e ai nati servi. I bravi resistono e per loro più grave dell’odio del nemico, è l’odio dei nati servi. La capacità di autoinganno del conformismo è straordinaria e grazie al fatto che abbiamo letto Orwell e ci ricordiamo la fedeltà canina degli intellettuali europei (i moralmente superiori) a quel crimine contro l’umanità che è stato ed è il comunismo, non ci stupiamo più di tanto.
Anche la cosiddetta pandemia ha visto uno schema mentale analogo. Dove anche in una sola nazione il velo sia obbligo statale, la «libera» scelta del velo è abiezione, e le donne, studentesse spesso, che «orgogliosamente» vogliono portare le loro catene di stoffa in sfregio all’occidente e come simbolo della sua colonizzazione culturale, sono le paladine della dittatura. Le donne politiche che si mettono il velo in testa, Boldrini, Mogherini, Serracchiani, Bonino, per rispetto agli uomini dell’islam, pensano veramente che il potere che quegli uomini rappresentano, permetterà alle loro nipoti di non portarlo, se e quando, ma l’ipotesi è sempre più verosimile, arriverà al potere? Perché se io vado in Iran, che in realtà si chiama Persia, ci vado a visitare i simboli ormai calpestati della mia civiltà, perché la Persia cristiana è stata colonizzata dall’islam nel 650, l’islam che ha cancellato la civiltà precedente e annientato gli abitanti, come è successo nel Nord Africa cristiano, nel Sudan cristiano, nella Siria, cristiana anche lei, l’anatolia, l’armenia.
La chiesa cristiana più antica del mondo, risale all’80 dopo Cristo, è in Persia, nome che mi piace di più di Iran, il nome imposto dagli invasori islamici, e se io ci vado ho la libertà di scegliere tra coprire la mia testa e essere arrestata, ipotesi sgradevole, perché non sempre è successo alle utenti delle prigioni iraniane di uscirne vive.
Sono prigioni parecchio più aspre di quelle ungheresi. Dovrei coprire la mia testa come hanno fatto Boldrini, Mogherini, Serracchiani, Bonino e come non ha fatto davanti allo stesso Khomeini, Oriana Fallaci.
Il mondo si divide tra chi ha capito cosa è la libertà e chi non lo ha capito, è una scelta dolorosa e purtroppo definitiva, come ci ricordano le valorose donne dell’islam che ogni giorno rischiano la vita per non portarlo. In più il burka copre la faccia, impedisce la mimica, il primo linguaggio della creatura umana.
Cancellare il viso, la mimica, è un crimine per l’umanità di una persona e di conseguenza di tutte le persone umane. Ora che ci penso lo abbiamo fatto anche noi imponendo una inutile e dannosa mascherina. Almeno non c’erano le frustate o la morte come punizione, ma una multa.