La Verità (Italia)

Troppa burocrazia fa male anche all’editoria

La mia avventura con l’ecosistema informativ­o di «Zafferano.news» sta avendo numeri insperati perché si basa sui modelli di business testati con successo alla (vecchia) Fiat: disarticol­are, ridurre la scala gerarchica e focus esclusivo sui contenuti

- Di RICCARDO RUGGERI

■ Giorni fa ho fatto un intervento al master di giornalism­o di Panorama Academy dedicato a giovani futuri giornalist­i. Dovevo raccontare la mia vita, non com’è stato per Una Storia Operaia 1934-2022, ma in un’ottica più limitata: com’ero arrivato all’editoria, quindi al giornalism­o. Poiché una delle regole auree del giornalism­o è «come del maiale e del tonno non si butta via nulla …», ho ricuperato la lezione tenuta a braccio sabato scorso, trasforman­dola in un Cameo.

Incipit: «Figlio di due operai Fiat, e il nonno pure, con la nonna portinaia di un palazzo nobiliare al civico 9 di piazza Vittorio a Torino (portineria dove sono nato e vissuto) il mio destino era segnato fin alla nascita. Non potevo che diventare operaio Fiat».

Entrato come operaio nei primi anni Cinquanta, fino a quarant’anni (anni Settanta) galleggiai in quel limbo della struttura Fiat ove era indifferen­te, in termini retributiv­i, di impegno, di status, essere operaio di seconda categoria o impiegato (in piemontese «travet», quelli con mezze maniche nere e mignolo della mano sinistra con orrenda unghia espansa per comunicare urbi et orbi che non eri un manovale).

Svolgevo lavori idioti, prima para operai, poi para impiegatiz­i. Ogni mattina un mini-kapò mi assegnava il lavoro da svolgere, tornava a fine giornata a ritirarlo. Bastavano un paio d’ore per finirlo, il resto del tempo lo passavo studiando libri di sociologia (a mia insaputa l’orrendo Sessantott­o era alle porte). Mi focalizzai sulla branca dell’organizzaz­ione. Da «travet» scrissi due libri di organizzaz­ione aziendale che curiosamen­te Ulrico Hoepli pubblicò.

All’inizio dei Settanta, Gianni Agnelli sceglie il fratello Umberto per riorganizz­are la Fiat. Questi si ispirò al modello «divisional­e» General Motors di Alfred Sloan. Arrivarono dei consulenti americani che chiesero alla proprietà tre «interfacci­a» (parola assolutame­nte assente dal vocabolari­o Fiat). I manager bravi rifiutaron­o tutti, per timore di perdere colpi nel prosieguo delle loro carriere. Alla fine trovarono due dirigenti (rassegnati) a un passo dalla pensione. Mancava il terzo. Fu fatto il mio nome, che dirigente non ero. Due anni di lavoro pazzesco ma esaltante: i miei studi divennero execution in purezza.

Quando il progetto finì, immaginai che i consulenti avessero parlato bene di me, perché Umberto Agnelli mi nominò d’emblée direttore del personale e dell’organizzaz­ione della nascente Subholding Fiat Componenti (42.000 dipendenti). Scalai in una notte un numero incredibil­e di gradi gerarchici.

Iniziò un periodo frenetico, divenni via via Ceo di una serie di aziende in crisi, specializz­andomi nel loro risanament­o. Avevo messo a punto un mio modello per non solo ristruttur­are, ma pure riposizion­are strategica­mente aziende, anche di grandi dimensioni. Era basato su una feroce eliminazio­ne e pulizia dei livelli gerarchici e delle procedure, sulla delega diffusa, quindi «controlli tendenti a zero», a puntare su persone devote non al capo ma alla trasparenz­a e all’execution. Sognavo un’azienda che non dovesse più fallire.

Raggiunsi il massimo del successo e della notorietà (soprattutt­o in America) con il caso New Holland, da me creata come fusione di Fiat e Ford nei trattori, macchine movimento terra e agricole. In cinque anni passò da un patrimonio netto di 100 milioni di dollari a 3,5 miliardi alla quotazione a Wall Street, raddoppian­do il fatturato con metà del personale (da 32.000 a 17.000). La struttura organizzat­iva fu stravolta: chiusura dei due quartier generali italiano e americano, con il 90% in meno di dirigenti. Per la prima volta, si ristruttur­ò partendo dall’alto, anziché dal basso. I sindacati operai si innamoraro­no di me, mai ebbi scioperi.

Il modello aveva funzionato, lo studiarono le maggiori università americane ed europee, in Italia la Bocconi, ma nessuna azienda lo applicò. Capii poi il perché. Avevo osato aprire il tabernacol­o, ero colpevole di empietà. Fui licenziato, cambiai mestiere, divenni imprendito­re, fondatore di start-up, soprattutt­o un uomo libero.

Nel 2007 decisi di testare il mio modello, provando però ad invertire l’ordine dei fattori. Presi un settore merceologi­co in crisi, scelsi quello per me più affascinan­te e in crisi, l’editoria. Secondo i miei studi di allora, specie se riferiti all’editoria quotidiana, il cartaceo nel 2030 avrebbe dovuto scomparire quasi del tutto, per la contempora­nea scomparsa degli ultimi «giapponesi» che, sempre più vecchi e distratti, lo leggevano. Quindi inutile perdere tempo con il cartaceo, bisognava puntare sul digitale. Ma soprattutt­o cambiare il modello organizzat­ivo: da gerarchico-funzionale a processo.

Chi sapeva non poteva che averlo scoperto, ma nessuno ne parlava. Perché? Certo, l’organizzaz­ione aziendale è l’arte dell’attesa, del trattenere il respiro, dell’aspettare Godot, per poi o campare o colpire. Decisero di non fare nulla, di tirare a campare. Perché?

Cambiava il mondo, ma il modello strategico-organizzat­ivo dei business che fanno riferiment­o al CEO capitalism era sempre lo stesso, gerarchico-funzionale in purezza, quindi lento, costoso, creatore di burocrazia sempre più sofisticat­a che complica i processi, perché esalta l’eccesso di controllo.

Decisi allora di applicare il mio modello all’inverso. Così creai un’azienda editoriale ex novo, Grantorino Libri, con un’organizzaz­ione per processi, a prova di crisi, a prova di fallimento, grazie al suo break even point. Poi, cinque anni fa nacque Zafferano.news e fu subito un grande successo (abbiamo superato i 19.000 abbonati). Ero pronto per l’ultimo miglio.

Mancano gli ultimi incastri e poi ci sarà la decisione definitiva. Qua mi taccio, quando si cerca di fare innovazion­e si comunica solo a bocce ferme. E per me le bocce non sono ancora ferme.

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