Coppia italiana ricattata in Georgia L’utero in affitto è una trappola
Se non pagherà più soldi, niente bimbe. Ennesima prova: serve il reato universale
■ Se ci fossero ancora dubbi sul fatto che quello dell’utero in affitto sia un mercato segnato dalla speculazione - e che quindi dichiarare la maternità surrogata reato universale, come vuole fare il governo guidato Giorgia Meloni, rappresenti una battaglia di civiltà - a dare un ulteriore esempio in tal senso, ieri, ci ha pensato il Corriere della Sera. In un servizio di Monica Ricci Sargentini si è difatti raccontato un caso che ben esemplifica come la compravendita di neonati sia non solo un grande business, cosa già nota, ma pure un business segnato da truffe e tentativi di estorsione di denaro.
La vicenda ricostruita dal Corriere è quella di Sara e Alberto, nomi di fantasia di una coppia milanese rispettivamente di 43 e 35 anni, con lei che non ha più l’utero e che, pertanto, non può più concepire. Il desiderio di genitorialità è però così forte che i due decidono di intraprendere la strada dell’utero in affitto attraverso la rotta che, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, si è ritagliata amplissime fette di mercato: quella della Georgia, uno dei pochi Paesi che consente la maternità surrogata internazionale.
Così, colpiti dalle recensioni positive del sito della clinica Vita nova a Tbilisi che vanta 20 anni esperienza e 5.000 famiglie soddisfatte - Sara e Alberto nel 2022 firmano il contratto con l’agenzia. La scorsa estate viene loro comunicato che, al terzo tentativo grazie agli ovuli forniti da un’altra donna - la mamma surrogata ingaggiata è finalmente incinta. Aspetta due gemelli. Per i due la gioia è immensa. Nel febbraio di quest’anno, però, iniziano le brutte sorprese: la mamma surrogata ha la pressione alta ed è in ospedale. Così il 23 dello stesso mese, alla trentaduesima settimana, i gemelli nascono: sono due bimbe, una pesa 1,5 chili, l’altra poco meno di 1,3.
Il parto pretermine rende necessario il ricovero in neonatologia, reparto di cui la clinica di Vita nuova è però priva. Le bimbe così sono state trasferite al Gudushauri national medical center, una clinica perinatale, da dove non saranno dimesse se prima - viene detto alla coppia - non verrà pagata una somma ingente legata al loro ricovero. L’importo è di 12.000 euro, richiesti in contanti. Quando però vola Tbilisi, la coppia ha un’altra brutta sorpresa: gli euro richiesti sono saliti a 24.000. Un aumento sospetto, tanto più dopo aver appreso dell’odissea georgiana anche di altre coppie, guarda caso tutte con figli nati prematuri a seguito di maternità surrogata. Sono così coinvolti dalla coppia sia un avvocato, sia la Farnesina, guidata dal ministro Antonio Tajani.
Morale: pare che ora l’ospedale georgiano stia per accettare di dimettere le bimbe dietro un compenso un po’ più contenuto, pari a 19.000 euro. La vicenda sembra dunque volgere al termine, anche se la coppia - che fino a oggi ha potuto vedere le piccole solo pochi minuti - dovrà poi affrontare pure la questione della trascrizione all’anagrafe. Le rappresentanze diplomatico-consolari sono difatti tenute a trasmettere i casi sospetti al Comune competente e a inoltrare al contempo la notizia di reato alla Procura della Repubblica; ciò che dovrebbe verificarsi è quindi che all’anagrafe sia registrato solo il padre mentre la madre alla luce di quanto ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza numero 4448 del 23 gennaio 2024 dovrà ricorrere all’adozione in casi particolari.
In tale cornice emerge pure il paradosso che vede la Farnesina - ovviamente assistere questa coppia di connazionali, sì, ma per aiutarla a portare a termine un iter inclusivo di una pratica che non solo in Italia è perseguita, ma che il governo di cui anche Tajani fa parte vuole rendere reato universale. Il che conferma la necessità di una svolta legislativa che rafforzi, a livello internazionale, il principio secondo cui gli uteri non si affittano e i figli non si comprano.