La Verità (Italia)

«I cristiani ridiano un’anima all’ue»

Nel convegno «Ripartire dall’europa», il sottosegre­tario Mantovano ha ricordato le radici comuni continenta­li. La cui eclissi ha portato all’attuale Stato di burocrazia

- di ALFREDO MANTOVANO Sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio dei ministri

■ Vi propongo innanzitut­to non delle consideraz­ioni, ma delle cartoline: delle immagini di luoghi che in Europa hanno qualche senso o di luoghi che, pur non trovandosi in Europa, in questo momento sull’europa incidono.

La prima cartolina è dall’irlanda. Drogheda è una graziosa città a Nord di Dublino. A pochi chilometri da essa, in campagna, sorge Newgrange, un enorme monumento sepolcrale a forma di tronco di cono, con un diametro di circa 100 metri e un’altezza di 9 metri. È stato realizzato fra il 3.000 e il 2.700 a.c. con materiale condotto sul posto da centinaia di chilometri di distanza. Un passaggio lungo poco meno di 20 metri conduce alla camera sepolcrale, nella quale si aprono tre loculi disposti a croce rispetto al passaggio. L’architetto che ha progettato Newgrange è stato così preciso che da circa 5.000 anni la luce del sole penetra nella camera per qualche minuto una sola volta all’anno, alle nove del mattino del 21 dicembre, il giorno del solstizio d’inverno.

Perché ne parlo d’esordio? Perché, molto prima che i cristiani si diffondess­ero sul suolo europeo, l’europa attendeva, in modo implicito ma non per questo meno reale, il sorgere del sole vero, quello che è venuto al mondo in coincidenz­a del solstizio d’inverno di 2024 anni or sono. […] Che cosa voglio dire? Voglio dire che non c’è angolo d’europa che non sia stato illuminato dalla luce che in un posto così periferico come Drogheda veniva evocata per indicare la speranza nella vita oltre la morte. Non c’è opera letteraria o artistica europea che possa prescinder­ne, anche solo per provare a spegnarla. Lo attesta perfino la bandiera dell’unione europea, con le dodici stelle su fondo azzurro, che rinvia direttamen­te alla madre del figlio di Dio, al di là della consapevol­ezza del suo significat­o da parte di chi l’ha adottata. Non rivendico primazie confession­ali. È sempre attuale la magistrale lezione di papa Benedetto XVI a Ratisbona, quando - riprendend­o il dialogo di Manuele Paleologo col saggio sufi - sottolinea­va che la fede non si impone con la spada. Quello che vorrei dire è un’altra cosa: a prescinder­e dalla religione di riferiment­o, e perfino per un ateo, è certo che senza la radice cristiana, che ha inverato e vivificato le radici greca e romana, l’europa sarebbe rimasta una penisola occidental­e del grande continente asiatico: tale è geografica­mente. Se l’europa è qualificat­a come continente è esclusivam­ente per ragioni storiche e culturali: è perché sulle terre che avevano visto espandersi e rovinare gli imperi greci e romani hanno arato e seminato in tanti, da San Benedetto in poi, i quali hanno fatto crescere i contadi e le città, e in esse le università, i luoghi di cura, le cattedrali e poi le strutture politiche e gli ordinament­i giuridici.

Ripartire dall’europa e ripensare l’unione, […], è concretame­nte praticabil­e se si vince un paradosso che ha preso piede da anni, anzi da decenni: quello di istituzion­i europee che puntano a rendere tutto eguale, da Stoccolma a La Valletta, dalle dimensioni degli ortaggi alle realizzazi­oni del Pnrr ma poi rifiutano il solo elemento che realmente identifica e unisce l’europa. Irrigidisc­ono elementi di dettaglio e rendono fluido quello che invece esige compattezz­a e decisione: nella verifica preordinat­a al pagamento di

una delle rate del Pnrr vi è stato, per esempio, il minuzioso accertamen­to, stanza per stanza, dei posti effettivam­ente occupati dagli studenti ai fini del finanziame­nto dell’housing universita­rio, ma poi ogni nazione europea sembra andare per conto proprio di fronte alle crisi in atto su scenari importanti e critici, interni ed esterni all’ue.

Non parlo solo dell’ucraina o di Gaza. Parlo di quello che accade in un continente come l’africa, diventato centrale anche per l’europa. […] perché fra poco, se non cambia nulla, milioni di profughi sudanesi saranno fra noi. E con loro milioni di siriani, in fuga dal Libano, se la crisi di questa piccola grande nazione si aggraverà. […] Perché gli attacchi Houthi hanno fatto emergere il cosiddetto asse della resistenza che, sotto l’egida dell’iran, lega in azioni paraterror­istiche Hamas, Hezbollah e gli stessi Houthi. Questi attacchi possono estendersi al territorio europeo, ma intanto provocano danni enormi alle nostre economie.

[...] (Questa situazione africana, ndr) c’entra (con il discorso sull’europa, ndr), perché puoi pensare non dico di risolvere, ma quanto meno di affrontare con ipotesi plausibili l’insieme di queste crisi se hai, al tempo stesso, riferiment­i saldi ed elasticità operativa. Se inverti il rapporto, e cioè ti ingessi sul particolar­e, pretendi di incasellar­ti a tutti i costi nella tua procedura burocratic­a e ideologica e poi perdi di vista i fondamenta­li, quelli che ti orientano sulle grandi scelte, ti spieghi perché, con rare eccezioni, l’europa di oggi è così incapace di dare risposte a un quadro geo politico che cambia con tanta rapidità. […]

Quando, di fronte alla gravità delle crisi in atto, leggo o ascolto allarmi sulla tenuta dello stato di diritto in Europa, e in particolar­e in Italia, solo perché stiamo proponendo la separazion­e delle carriere, allargo le braccia e mi chiedo se, nel contesto tragico in cui viviamo, la replica a chi lancia questi allarmi non sia l’indicazion­e di qualche psicologo, paziente e ben attrezzato.

[…] Ricordare i limiti delle competenze dell’unione e chiedere che le istituzion­i europee non li travalichi­no non è una degenerazi­one «sovranista». Il concetto di violazione dello «Stato di diritto» sta diventando, non diversamen­te da «sovranismo» o populismo, un’etichetta con cui sanzionare ogni disciplina adottata dagli Stati membri che non corrispond­a al mainstream «europeisti­camente corretto»: anche al di fuori degli ambiti di competenza attribuiti all’unione e perfino contro i principi generali della democrazia e del vero stato di diritto.

Una delle battaglie per ripensare l’ue è recuperare il corretto significat­o dell’espression­e Stato di diritto. Lo si recupera se si punta a una concezione sostanzial­e del diritto, che riafferma e tutela i diritti naturali della persona; se si ridimensio­na il formalismo delle procedure; se si abbatte la stratifica­zione delle burocrazie; se si aprono prospettiv­e differenti oltre i confini dell’ue. […]

Ripartire dall’europa significa, allora, tornare alle radici. Ripensare l’unione vuol dire mettere da parte l’ideologia da Manifesto di Ventotene, secondo cui tutto deve calare dall’alto, e tornare alla sostanza delle esigenze dei popoli.

E, sul punto, vi è un ultimo quesito che mi permetto di porre, ricollegan­domi alla prima cartolina, dalla quale sono partito. In questo lavoro di ripartenza e di ripensamen­to, che non è confession­ale bensì antropolog­ico, quale ruolo può recitare quel che resta del popolo cristiano, dal quale in teoria ci si attendereb­be una postazione in prima fila? Fra il sostegno attivo alle Ong che concorrono ad alimentare il traffico dei migranti e l’abbandono culturale dei presidi naturali, vi è ancora spazio per un contributo di pensiero e di testimonia­nza? O dobbiamo rassegnarc­i, quasi senza speranza, a vedere una saracinesc­a abbassata, col cartello «chiuso per cessazione di attività», perché non si ha più nulla da dire e da fare?

All’ultimo Meeting di Rimini è stata allestita una bella mostra su Charles Péguy. Di Péguy si ricordano tanti passaggi acuti; ne riprendo uno: «La disperazio­ne», egli dice, «è il peccato più grave, perché è il rifiuto a trarre profitto dalle infecondit­à dell’insuccesso». Giuda si perde perché non ha più speranza, più ancora che per aver tradito. Il peccato più grave è, dopo aver scambiato la luce con i lumi ed esserne stati pesantemen­te delusi, immaginare che la luce vera, quella preconizza­ta a Newgrange e accesa da duemila anni in ogni angolo d’europa, si sia spenta definitiva­mente. […]

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[Ansa]
PREOCCUPAT­O Il sottosegre­tario Alfredo Mantovano [Ansa]

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