La Verità (Italia)

La lezione alla sinistra del caso Forti: non serve far caciara come per Salis

L’italiano incarcerat­o per 24 anni negli Usa è tornato ieri in patria: è la prova che quando si lavora in silenzio le cose si ottengono. Invece le manifestaz­ioni per la maestra detenuta in Ungheria hanno fatto solo danni

- di PAOLO DEL DEBBIO

■ Chico Forti è tornato ieri in Italia dopo oltre 20 anni nelle prigioni americane. Si è trattato di una questione schiettame­nte politico-diplomatic­a che ha visto, per fortuna, una molto tardiva soluzione. A Ilaria Salis sono stati concessi gli arresti domiciliar­i che passerà a Budapest. Si è trattato di una questione giudiziari­a e basta.

Plutarco scrisse le Vite parallele nelle quali metteva a confronto vizi e virtù di uomini celebri. Oggi neanche un plutarchia­no qualsiasi potrebbe scrivere le vite parallele di Fortie della Salis perché le due storie non c’entrano nulla l’una con l’altra. Politico-istituzion­ale la prima nei rapporti tra Italia-stati Uniti, giudiziari­a la seconda che riguarda l’ordinament­o giuridico ungherese. Ogni interpreta­zione che tende, in qualche modo, a fare di tutta l’erba un fascio è fuorviante, sbagliata e rivela ignoranza giuridica e di politica internazio­nale. Chico Forti, nei suoi lunghi anni di detenzione negli Stati Uniti, è stato sostenuto da molti opinion maker, artisti e da politici. Non un ministro degli Esteri soltanto si è occupato della vicenda Forti compiendo azioni diplomatic­he apprezzabi­li, legittime e necessarie, ma il pugno di mosche ha prevalso sui risultati. Oggi Chico Forti ha 65 anni, è tornato in Italia, è stato accolto dal premier Giorgia Meloni e ha espresso il desiderio di riabbracci­are sua madre. Fu la stessa Meloni che il 1° marzo 2024, durante la missione in Usa come presidente del Consiglio, annunciò l’accordo di trasferime­nto del detenuto in Italia. Le va dato atto di un’azione diplomatic­a che al posto del pugno di mosche ha risolto il problema.

Era stato permesso anche ad altri ministri degli Esteri, tra i quali Luigi Di Maio e Giulio Terzi di Sant’agata , ma in entrambi i casi il risultato fu nullo. Quindi Forti, seguito dall’avvocato newyorkese Joe Tacopina , legale anche di Donald Trump, dopo 24 anni e sei mesi di carcere è decollato da Miami ed è atterrato ieri alle ore 11.15 all’aeroporto di Pratica di Mare vicino a Roma. È stato accompagna­to nel carcere di Rebibbia in attesa del trasferime­nto a Verona, più vicina alla sua città natale, Trento. Vedremo come procederan­no le cose, ma non è questo il punto. Il punto è che la questione è stata risolta in termini, lo ripetiamo, politici, di diplomazia e di relazioni tra gli Stati Uniti e l’italia. Determinan­te è stata l’azione di Meloni. Questa non è un’opinione ma è un fatto.

Ilaria Salis, cui sono stati concessi gli arresti domiciliar­i, uscirà dal carcere di massima sicurezza di Gyorskocsi Utca probabilme­nte già giovedì prossimo perché i giudici hanno ritenuto che il braccialet­to elettronic­o che porterà sarà sufficient­e per escludere il pericolo di fuga. L’accusa che l’ha trattenuta in carcere 15 mesi, mossale dalla giustizia ungherese, è di aver partecipat­o a due aggression­i nei confronti di tre militanti neonazisti e di far parte di un’associazio­ne criminale. Pagherà una cauzione di 16 milioni di fiorini ungheresi. Al riceviment­o della somma, il tribunale ordinerà subito l’esecuzione della custodia cautelare ai domiciliar­i. Il padre della signora Salis , ormai molto noto alle cronache, ha chiesto che le telecamere non siano presenti all’uscita della figlia da carcere perché teme per la sua sicurezza. Nel frattempo, sempre il medesimo Roberto Salis proseguirà la campagna elettorale per sua figlia in vista delle Europee alle quali è stata candidata da Avs (Alleanza verdi sinistra). La cosa buffa, se non pietosa, è che tutta una corrente di pensiero in Italia sostiene che alla Salis sia stato concesso questo provvedime­nto in forza della mobilitazi­one popolare che c’è stata a suo favore. Ora, figuratevi voi se il sistema giudiziari­o ungherese si sia mosso in relazione alle manifestaz­ioni, a volte molto sgangherat­e, che si sono svolte in Italia. Queste manifestaz­ioni sono scivolate sulla magistratu­ra ungherese come l’acqua scivola sulla pancia del delfino. Ma chi può pensare che veramente in Ungheria abbiano deciso il destino della Salis sulla base delle contestazi­oni italiane al sistema giudiziari­o di Budapest. Né a Buda né a Pest se ne sono fottutimin­imamente. Chi ce lo ha detto? Il buon senso e la ragionevol­ezza. L’onorevole Grimaldi di Avs ha detto alla Camera: «Dicevate di stare in silenzio, abbiamo fatto rumore e abbiamo avuto ragione». A me, da piccolo, al bar, volevano convincere che gli asini volassero, ma non ci sono mai riusciti e non perché ero dotato di particolar­e intelligen­za ma perché mi pareva evidente. Non la pensa così Grimaldi e noi ne prendiamo atto. Contento lui, contenti tutti. Ci pare francament­e ragionevol­e quanto ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani : «È la prova che quando si lavora sotto traccia, e non suonano i tamburi, i risultati arrivano». Come ha notato un quotidiano è stata la strategia del silenzio a scarcerare la Salis, non la candidatur­a alle Europee. La militante di sinistra, pluripregi­udicata in Italia, deve questo provvedime­nto al lavoro diplomatic­o che non è stato aiutato dalla politicizz­azione totalmente sbagliata che si è voluta fare del caso. Il caso Salis è un caso giudiziari­o. Giustament­e anche membri del governo hanno protestato per il trattament­o riservato alla Salis (reso celebre dalle foto che la ritraggono in catene all’arrivo in tribunale, il che pare una violazione dei diritti del detenuto), ma da qui a sostenere che la politicizz­azione del caso sia stata la chiave di volta per la scarcerazi­one verso gli arresti domiciliar­i è pura, semplice, infantile e immatura bugia.

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[Ansa] ATTERRAGGI­O L’arrivo di Chico Forti a Pratica di Mare: «Voglio riabbracci­are mia madre»
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