Iran vulnerabile o disorganizzato? Il caso Raisi è comunque un disastro
Via alle cerimonie funebri del defunto leader. Sulla cui morte si indaga ancora
■ Sono iniziate ieri le cerimonie funebri per Ebrahim Raisi: in particolare, si è tenuto un corteo nella città di Tabriz. Successivamente, la salma è stata trasferita a Qom, per poi essere spostata a Teheran, dove oggi sono previste ulteriori cerimonie. Sempre oggi, secondo l’agenzia di stampa Tasnim, dovrebbe prendere parte alle celebrazioni funebri l’ayatollah Ali Khamenei. La sepoltura di Raisi è infine prevista per domani a Mashhad. In tutto questo, ha destato delle perplessità la scelta dell’onu di tenere ieri la propria bandiera a mezz’asta in onore del controverso presidente iraniano. Non solo. Lunedì, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva anche osservato un minuto di silenzio, innescando la reazione dello Stato ebraico. «Che si fa poi? Un minuto di silenzio nell’anniversario della morte di Hitler?», aveva detto il rappresentante israeliano all’onu,
Gilad Erdan.
Nel frattempo, il capo di Stato maggiore iraniano, Mohammad Bagheri, ha avviato un’indagine sulle cause dell’incidente che, domenica, ha portato alla morte dello stesso
Raisi e del ministro degli Esteri, Hossein Amir-abdollahian. A tal proposito, è stata istituita una delegazione di esperti, guidata dal vice coordinatore dello stato maggiore delle forze armate della Repubblica islamica, Ali Abdollahi. Già l’altro ieri, Mosca aveva offerto assistenza a Teheran nell’inchiesta per far luce sulle cause dell’incidente.
Ricordiamo che l’elicottero su cui viaggiava Raisi domenica è precipitato, dopo che il presidente aveva partecipato all’inaugurazione di una diga in Azerbaigian. Il tempo era particolarmente nebbioso, mentre l’elicottero, un Bell 212 di fabbricazione statunitense, risultava piuttosto vecchio. Secondo il Financial Times, «analisti ed ex funzionari hanno affermato che la colpa è molto probabilmente di problemi tecnici, dato che gran parte della flotta aerea iraniana ha un disperato bisogno di pezzi di ricambio, che Teheran non è stata in grado di acquistare a causa delle sanzioni statunitensi e di altri Paesi occidentali». Una tesi, questa, fatta sostanzialmente propria anche dal ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. «Gli americani lo negano, ma la verità è che gli altri Paesi contro i quali gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni non ricevono pezzi di ricambio per l’equipaggiamento americano, compresa l’aviazione», ha detto ieri.
Di altro avviso è invece la Cnn che ha espresso scetticismo sul ruolo delle sanzioni occidentali nell’incidente. Il network americano si è inoltre chiesto per quale ragione il presidente sia stato fatto viaggiare su un elicottero «potenzialmente inaffidabile». Tutto questo, mentre l’ipotesi di un complotto è stata smentita. Israele ha negato categoricamente coinvolgimenti nell’incidente, mentre il senatore americano dem, Chuck Schumer, ha riferito che, secondo l’intelligence di Washington, non ci sono prove di un attentato.
Il punto è che l’esito dell’indagine, qualunque sia, porrà prevedibilmente il regime khomeinista in una posizione imbarazzante. Se viene scoperto un complotto, Teheran trasmetterà l’idea di non essere in grado di tutelare la sicurezza dei suoi massimi funzionari; se l’accaduto sarà invece attribuito a un malfunzionamento dell’elicottero, l’iran sarà percepito come un Paese con gravi carenze sia sul piano organizzativo sia su quello tecnologico. In entrambi i casi, l’immagine del regime ne uscirà fortemente compromessa sia a livello interno che internazionale.
Il che potrebbe rivelarsi un duro colpo per l’influenza regionale di Teheran, soprattutto se il regime dovesse restare preda di una lotta di potere intestina per la successione di Khamenei a guida suprema. È chiaro che una simile situazione potrebbe indebolire il pericoloso network di cui gli ayatollah si servono: un network che va da Hamas agli Huthi, passando per Hezbollah. Se ciò accadesse, va da sé che la crisi di Gaza potrebbe essere vicina a una svolta.