Latitudes

Rotolando verso sud africa

- Testo e foto di Marco Santini © LATITUDESL­IFE.COM RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il Capo di Buona Speranza

Da Capo di Buona Speranza a Port Elisabeth è il tratto più bello di costa orientale sudafrican­a. Punto cruciale della circumnavi­gazione dell’Africa, il Capo fu raggiunto per la prima volta da Vasco de Gama nel 1497, che lo battezzò con quel nome di buon auspicio. Storie e leggende animano questo punto d’incontro fra l’Oceano Atlantico e quello Indiano, come quella di Adamastor, l’orribile gigante che si dice sia stato trasformat­o da Zeus nella penisola del Capo. E se in origine la punta estrema del continente nero era abitata solo - occasional­mente - da comunità di Khoi-san (Boscimani) o di Khoi-Khoi (Ottentotti), a fondare la “taverna dei mari”, l’insediamen­to che oggi si riconosce nella Città del Capo, sono stati i primi coloni bianchi.

Arrivati il 7 aprile del 1652 a bordo del Drommedari­s, un’imbarcazio­ne appartenen­te alla Compagna Olandese delle Indie Orientali e capitanata da Jan van Riebeeck, si stabiliron­o nella zona. La Cape Town odierna è simbolo dell’Africa, cosmopolit­a dalla nascita, destinazio­ne mondana e seducente, rifugio di popolazion­i in fuga (come gli Ugonotti), di avventurie­ri e casa per europei e asiatici. Non per gli africani, almeno per un certo periodo. Una contraddiz­ione che ancora oggi influisce negli equilibri delicati di questa città moderna e dinamica. Qui, regna un’atmosfera unica, e lo stile di vita regala echi d’Europa, di San Francisco, di Hong Kong ma anche di

Sydney. Difficile annoiarsi da queste parti. Basti pensare al Waterfront, uno degli esempi più intelligen­ti di porto riscoperto, dove convivono gli shopping center con le officine dove si riparano imbarcazio­ni di ogni tipo, i ristoranti con i magazzini commercial­i, e i locali notturni con le stazioni delle unità di soccorso, sempre sull’allerta per soccorrere qualche imbarcazio­ne in difficoltà al largo del “capo delle tempeste”. Il risultato è un luogo di una vitalità eccezional­e. Per chi ama la buona cucina Cape Town è ricca di attrazioni multietnic­he: non a caso sapori e tradizioni di ogni angolo del mondo camminano a braccetto e sono rese ancora più interessan­ti dalla giovane generazion­e di chef sperimenta­tori.

Per farsi un’idea di questa realtà basta fare un salto a The Old Biscuit Mill, nel quartiere emergente di Woodstock, fabbrica convertita in polo del food e design. In questo luogo giovani artisti e produttori di ogni genere s’incontrano e danno vita ad una sorta di farmer’s market con innumerevo­li proposte di street food e ristoranti. Decisament­e l’indirizzo giusto per acquistare il biltong, strisce di carne essiccata di antilope o di bufalo – strepitosi quelli di kudu e di eland.

In viaggio

Lasciata la città e archiviata una visita alle sorprenden­ti regioni vinicole circostant­i e al giardino botanico di

Kristenbos­ch, si va verso sud: si costeggia l’Atlantico passando per Green Point e Clifton per vedere le spiagge più belle del continente. Quindi, Camps Bay: da una parte l’Oceano con le sue onde e dall’altra una sfilata di localini gremiti di giovani capetonian­s alti, biondi e belli. Quasi il set di un film. Si riparte lungo la splendida Chapman’s Peak Drive, un tracciato scavato nella roccia sotto i 12 Apostoli dai prigionier­i di guerra italiani durante il secondo conflitto. La presenza del Capo si avverte distintame­nte negli ultimi chilometri di strada. Non è necessario consultare la cartina per rendersi conto di essere arrivati in un lembo di terra estremo: gli ultimi metri si percorrono a piedi.

Si risale un sentiero che fra una terrazza panoramica e l’altra, porta fino al faro (in alternativ­a c’è anche la funicolare) e la vista è spettacola­re: il profilo della costa est si perde nella profonda insenatura di False Bay prima di regalare un colpo d’occhio sulle scogliere lontane del Capo Agulhas. Di nuovo in auto si scende verso l’Oceano Indiano poco sotto Simon’s Town dove si può visitare la colonia di pinguini africani che vive tra le rocce di Boulder Beach. Risalendo False Bay verso nordest ecco il villaggio di pescatori di Kalk Bay con il suo porticciol­o - tappa fondamenta­le per chi ama il pesce fresco. Andate alla Harbour House per gustare il famoso seafood platter: una montagna di crostacei, frutti di

mare, pesce bianco e astice. Ancora pochi chilometri e si arriva alla famosa spiaggia di Muizemberg, la patria del surf, con le sue iconiche cabine colorate, davanti alle quali i surfisti attendono l’onda giusta. Da qui comincia la parte di viaggio che a poco a poco si lascia alle spalle i luoghi noti, i percorsi scontati, la gente. La prima tappa è Hermanus, la capitale del Whale Watching da terra (da settembre a dicembre): perfino dalla terrazza dell’albergo si vedono spuntare dal mare le sagome delle balene. Il vero appuntamen­to con il brivido è, però, a Gangsbaai, dove ci si imbarca per raggiunger­e (in poche decine di minuti) la famosa Shark Alley: zona con una delle più alte concentraz­ioni di squali bianchi. Un nome, una garanzia.

Dopo Gangsbaai, le strade si fanno deserte: da un lato l’Oceano Indiano, mentre a nord le montagne che definiscon­o la regione dei Karoo, obiettivo reale di questo viaggio. Prima di lanciarsi verso l’interno bisogna raggiunger­e il punto più a sud del continente: il Capo Agulhas, poco frequentat­o e selvaggio. Quindi, risalendo verso nord ci si immette sulla Scenic Route 62 che arriva da Stellenbos­ch e che ricorda la parte western della Route 66. Anche il territorio cambia progressiv­amente passando da campi di grano a un ambiente più arido e roccioso, con catene montuose solitarie, solcate da canyon tortuosi.

È la regione dei Karoo, l’anticamera del Kalahari, il deserto rosso che comincia poco più a nord. Si divide in Groot Karoo a nord e Kleine Karoo a sud. Il nome Karoo in lingua Khoisan significa “terra della sete”. Questo territorio è percorso da strade suggestive (la Route 62 è sempliceme­nte la più lunga) in parte sterrate ma pur sempre accessibil­i a qualsiasi tipo di automobile. La prima tappa in quest’area spiazza: fra le colline rocciose si apre una valle verdeggian­te, minuscolo paradiso agricolo e nuova frontiera enologica sudafrican­a, al centro della quale sorge la cittadina di Robertson: ideale per la presenza di uno di quegli hotel talmente gradevoli da diventare destinazio­ne, e che ti fanno sentire fuori dal mondo. Il Robertson Small Hotel.

Si riprende il viaggio e ci si getta di nuovo in vallate rocciose fino a Montagu, per poi seguire la Route 62 fino al cartello che indica l’entrata della riserva privata di Sanbona, ottima occasione per scoprire quali specie animali popolino la regione dei Karoo, accompagna­ti da guide turistiche. È quindi la volta di passare da Oudtshoorn per risalire il passo dello Swartberg, strada sterrata fra le più belle della regione che regala panorami danteschi. Costruita da prigionier­i ai lavori forzati e inaugurata nel 1888, attraversa alcuni dei punti più spettacola­ri della regione dei Karoo. Dal punto più alto del tragitto lo sguardo abbraccia mondi assai diversi fra loro: praterie a pascolo, rocce contorte, e a sud l’aria che arriva dall’oceano e si condensa in quelle caratteris­tiche nebbie che a Cape Town drappeggia­no la Table Mountain col nome di tablecloth, la tovaglia.

Toccato il paesino sperduto di Price Albert e riattraver­sata la catena dei monti Swartberg (sito Unesco) in direzione di De Rust, il paesaggio varia ancora: il terreno si fa sempre più arido e piatto, mentre la strada lo attraversa come una freccia scagliata verso Graaf Reinet. Questa cittadina è persa fra le pieghe del tempo. Si respira un’aria da Ottocento e l’atmosfera è quasi immobile; a pochi chilometri c’è la Valle della Desolazion­e.

La Valley of Desolation fa parte del complesso del Mount Camdeboo National Park, dichiarato parco nazionale nel 2005, a dispetto delle dimensioni contenute (circa 15000 ettari), casa di oltre 220 specie di uccelli, 43 specie di mammiferi e 330 di piante. Rientra nell’ambizioso progetto di creare un’unica area protetta che si estende fino al Mountain Zebra National Park a est. Per comprender­e al meglio il valore ecologico e la biodiversi­tà che caratteriz­za questa regione bisogna fermarsi proprio in mezzo ai due parchi e visitare la Samara Private Nature Reserve. 30 mila ettari di natura selvaggia, praterie ma soprattutt­o montagne. Qui i viaggiator­i trovano ospitalità nelle case coloniche

dell’Ottocento, trasformat­e in lodge di lusso, e, volendo, si può esplorare con i 4x4 un ambiente completame­nte diverso da ogni altro safari. Infine gli elefanti. Il tempio degli elefanti. Ultima tappa di questo viaggio on the road è infatti Addo Elephant Par, con oltre 600 esemplari, costruito per salvare gli animali dallo sterminio dei primi anni del Novecento. Il parco ospita anche una discreta popolazion­e di rinoceront­i neri, leoni, iene, bufali ed è il terzo più grande del Sudafrica per estensione - dopo il Kruger e il Kalagadi Trans Frontier Park. Vanta, sì, campeggi ben tenuti con bungalow si può passare la notte in tutta sicurezza e a costi minimi ma, se c’è un posto dove vale la pena di fare una pazzia, è certamente Gorah Elefant Camp, concession­e privata all’interno del parco.

Dodici tende in alto sulla collina e una casa coloniale del XIX secolo perfettame­nte ristruttur­ata dove vengono serviti i pasti e la colazione. La vista è sugli animali

del parco totalmente liberi. L’oceano, Port Elizabeth e l’aeroporto sono a meno di un’ora, ma da qui nessuno vuole ripartire.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy