istanbul La città SEGRETA
Tra le strade di Fatih, Fener e Balat, i tre quartieri fuori dagli itinerari turistici nascosti oltre le mura dell’antica Costantinopoli.
Il profumo del pesce arrostito nei banchetti che affollano il molo di Eminonu arriva, debole, oltre le antiche mura ottomane che guardano il Corno d’Oro. Si perde facilmente tra la ragnatela di vicoli che disegnano il volto segreto di Istanbul. Un volto e tre nomi tenuti colpevolmente fuori dagli itinerari confezionati per i turisti: Fatih, Fener e Balat. Sono i quartieri meno visitati della capitale turca, si trovano nella parte europea della città e per scovarli è necessario sapersi orientare nel cuore della vecchia Costantinopoli.
Le vie del “Conquistatore”
Il distretto di Fatih si arrampica sul promontorio che affaccia sull’antico porto, l’arrivo è in salita ma il fiato lo si perde solo davanti all’imponenza del complesso religioso di Zeyrek. Oggi ospita una moschea in fase di ristrutturazione, in passato è stata la Chiesa bizantina di Cristo Pantocratore. Il silenzio è rotto dalle urla di tre giovani che spingono un vecchio carro in legno, così avvisano gli abitanti del loro passaggio per caricare il ferro da buttare. Percorrono una strada coperta dall’ombra dalle antiche e caratteristiche case di legno ottomane, 200 anni di storia snobbata dal turismo di massa ma certificata dall’Unesco come Patrimonio
mondiale dell’umanità. Il tour nel quartiere più conservatore dell’antica Costantinopoli prosegue con lo shopping di spezie e formaggi tra i banchetti del Mercato delle donne, la sosta è d’obbligo nei tavolini sistemati lungo le arcate dell’acquedotto di Valente, qui il must è assaggiare il tè turco servito nei caratteristici bicchierini a forma di tulipano. Non si può lasciare il quartiere senza aver visitato la Moschea di Fatih costruita in onore del grande conquistatore, il sultano Maometto II. Fuori dai circuiti turistici, si fa ammirare con calma fin dal cortile esterno avvolto dal marmo bianco. Al centro alcuni uomini parlottano a bassa voce attorno alla fontana dell’abluzione, all’interno l’enorme lampadario circolare cade sul tappeto rosso che raccoglie in preghiera i fedeli musulmani.
I salmi cantati dal muezzin rimbalzano dai minareti lungo il viale che dalla moschea accompagna i viandanti tra botteghe che profumano di pane e le vetrine coloratissime delle pasticcerie.
Fener, il labirinto greco
Quando Fatih diventa Fener arriva l’ordine di Kadir, la guida che accompagna i viaggiatori alla scoperta della Istanbul nascosta: “Qui niente foto”. Tra i due quartieri ci sono poche centinaia di metri dove a parlare sono i volti e gli abiti dei passanti. Nella zona più “integralista” dell’itinerario i visi delle donne sono coperti fino agli occhi, i pantaloni e le camicie degli uomini nascosti sotto
lunghe tuniche. Gli occhi incrociano solo di sfuggita quelli dei passanti stranieri, non c’è alcun pericolo ma solo una tacita richiesta di riservatezza. Le vetrine dei negozi affacciano su un intreccio di viottoli in mezzo a vecchie case colorate. Molte sono abbandonate e diroccate, ci si infilano solo i bambini per giocare e arrampicarsi sui muri grigi che le circondano. Nello storico quartiere greco non c’è un ordine. Ci sono le tracce, tante e diverse, dell’insediamento delle numerose etnie che si sono succedute negli anni. La cartolina di Fener sono i mattoni rossi che disegnano il Rum Lisesi, il palazzo che ospita il Liceo Greco Ortodosso. Da quassù, tra i tetti, si apre uno scorcio del Corno d’Oro, sull’altra sponda si scorge in lontananza la Torre di Galata.
La strada che costeggia il liceo è una discesa che conduce davanti alla Chiesa di Santa Maria dei Mongoli. La torre a cupola che domina la facciata rossa è il tratto distintivo per riconoscere da fuori la piccola chiesa bizantina, è l’unica di Istanbul a non esser mai stata convertita in moschea. Riuscire a visitarla all’interno non è semplice, è consigliabile affidarsi a una guida. Tra le vie di Fener la sensazione di smarrimento scompare solo per un attimo davanti all’ingresso del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Un inaspettato numero di visitatori si attarda davanti all’ingresso del luogo di culto più importante per gli ortodossi.
Le pareti dorate stregano i turisti, per i cristiani il punto di maggiore interesse si trova in fondo alla navata sinistra dove è custodito un frammento della colonna della flagellazione di Gesù. L’ultima fermata di Fener è la Chiesa di Sveti Stefan Kilisesi, si affaccia sul porto e visivamente segna un netto distacco dall’architettura degli altri luoghi di culto presenti a Istanbul. “Solo se la costruisci in un giorno” così il Sultano accettò ironicamente la richiesta del Patriarca di innalzare una chiesa sulle rive del Corno d’Oro. Interamente costruita in ferro e ghisa, si narra che l’intera struttura fu trasportata via mare smontata in più pezzi e poi assemblata in solo ventiquattr’ore una volta sbarcata nella capitale turca.
Il quartiere a colori
Balat è un’esplosione di colori e contraddizioni. Sotto il grande arcobaleno dipinto sulla facciata del Minik Kalpler un gruppo di bambini fa la fila davanti al pentolone pieno di cioccolata e pesca fette di dolce da un vassoio lasciato all’esterno del bar. Non è una festa, è un punto di incontro abituale per chi non ha niente e vive la povertà dell’antico quartiere ebraico. Il benvenuto è una schiera di pupazzi ammucchiati sul davanzale, dietro le grate della finestra. Le stradine sono vive, c’è il vociare dei passanti, il chiasso delle attività quotidiane, le risate e le chiacchiere di chi sosta fuori dai bar. Si respira il fascino
della vita di tutti i giorni. Le reflex immortalano gli scorci più caratteristici. C’è la lunga salita che parte all’angolo del Balat Kafe, il selciato è affiancato da immensi gradoni che si arrampicano sotto i balconi sporgenti di case variopinte. Nei pressi di Mektep Sokagi i viaggiatori si soffermano davanti a una scala coloratissima, è meno ripida ma ricorda quella più “visitata” del quartiere Cihangir, vicino a piazza Taksim. Balat è vecchio e nuovo, luci e ombre, allegria e raccoglimento. La storia è racchiusa nelle tre sinagoghe del quartiere, quella di Ahrida è la più interessante dal punto di vista architettonico. Per spalancare gli occhi bisogna arrampicarsi sul promontorio che domina il quartiere ed entrare nella Chiesa di San Salvatore in Chora, conosciuta anche come Kariye Müzesi.
L’edificio, nato come chiesa ortodossa, fu successivamente convertito in moschea. Oggiè un importante museo, c’è chi lo considera un tesoro alla portata della ben più famosa Chiesa di Santa Sofia. I mosaici e gli affreschi
rimasti custoditi sotto le imponenti volte sono una preziosa testimonianza dello splendore dell’architettura bizantina.