Perfino lo zucchero accusato di sessismo
In Val di Fassa un detto che esalta le curve femminili sulle buste dei dolcificanti scatena il caos. Ma gli spot sotto accusa sono tanti: basta un lato b di donna
E anche lo zucchero, alla fine, è diventato sessista. Un mostro da combattere alla stregua di quegli stronzi che trattano le donne come posaceneri o che le aggrediscono e violentano senza pietà. (...)
(...) Questo si chiama sessismo, non quattro bustine di carta messe sul bancone di un bar della Val di Fassa, in Trentino, per addolcire il caffè dei clienti. Nella giungla italiana del perbenismo e del politicamente corretto, sono riusciti pure a montare uno scandalo sullo zucchero. La sua colpa? Un scritta in ladino, il dialetto locale, sulle bustine:
«Na bela femena l’à l cul e l piet sot la pievia». Che in italiano significa testuale: una bella donna ha il sedere e il petto sotto la pioggia.
Apriti cielo, e altro che pioggia: è venuto giù un temporale di accuse e indignazioni. «Sembra di tornare al Medioevo», ha detto un ex assessore. «Ignorantata solo per farsi pubblicità», ha rilanciato qualcun altro. Tirando in ballo addirittura «la bassa levatura intellettuale dei nostri tempi».
Tutto ciò per un detto popolare che è un omaggio alle donne un po’ formose, come ha spiegato la senatrice di Forza Italia, Elena Testor. «Mi ha stupito questa polemica, anzi mi ha lasciato basita, perché in un momento in cui viene strumentalizzata la donna magra, dando un’immagine poco sana ai nostri giovani credo che un omaggio alla prosperità ci stia. Trovo questa una finta polemica. Se avessi ritenuto quella frase offensiva e sessista sarei stata la prima a metterlo in evidenza». E menomale che a dirlo è stata una donna... Tra l’altro, per dovere di cronaca, bisogna anche dire che su quelle bustine il proverbio incriminato sulle donne in carne non è l’unico che gira. Ce n’è pure uno che ironizza sul cervello degli uomini. Perché nessuno si scandalizza? Perché nessuno si straccia le vesti? Cosa dovrebbero dire i maschietti. Nulla, ovvio. Bisogna stare al gioco.
BRUTTO E CATTIVO
Quello dello zucchero brutto e cattivo con le donne è solo l’ultimo esempio di sessismo inventato nel nostro paese. Un paio di settimane fa, a Napoli, è scoppiata la bufera per dei maxi cartelloni apparsi per le strade con l’immagine di una ragazza in abiti succinti, girata di spalle, e la scritta a fianco «6x3=12. Bravo! Per fortuna la maestra è proprio brava». Una campagna pubblicitaria di un’azienda di stampa digitale per promuovere un’offerta vantaggiosa: 12 euro per la stampa di manifesti 6x3. Il primo a saltare sulla sedia e a denunciare «sessismo e maschilismo» è stato il vicepresidente dell’Arcigay di Napoli. Della serie: le carnevalate di omosessuali mezzi nudi che si baciano davanti a bambini di 3 anni vanno bene, un sedere femminile sui cartelloni pubblicitari no.
Perché? Per rimanere in tema di fondoschiena, la settimana scorsa una palestra della provincia di Verona ha fatto il giro del web grazie a un marketing senza dubbio da urlo. Due chiappe sotto una brasiliana nera e di fianco la scritta «Ti facciamo un culo così». Anche qui si sono sprecate accuse di sessismo e volgarità. Ma alzi la mano chi non ha mai sentito una ragazza dire esplicitamente di essersi iscritta in palestra per scolpirsi i glutei?
IPOCRISIA
Basta ipocrisia, suvvia. Anche perché in nove pubblicità su dieci, impacchettate per sponsorizzare corsi di fitness, pesi e bilancieri, troviamo uomini a petto nudo con la tartaruga in bella vista e gli addominali lucidi. Niente di male, anzi. E allora perché ci si indigna per un bel sedere da donna? Strana l’Italia. Tra l’altro, la proprietaria della struttura, un’altra donna, ha respinto tutti gli attacchi al mittente. «È stata una bella trovata pubblicitaria - ha spiegato alla stampa locale -. A nostro avviso non c’è niente di sessista. È solo un bellissimo sedere che non offende nessuno. Del resto basta aprire qualsiasi rivista per vedere che ci sono anche tanti ragazzi a petto nudo. Una donna non può forse mostrare un bel sedere muscoloso? Non è offensivo. In ogni caso ci adeguiamo a quelli che sono gli standard che si vedono in televisione. Io come donna non mi sento per niente a disagio». Come darle torto?
Senza andare troppo indietro nel tempo, a luglio l’allarme sessismo è arrivato fin dentro il Consiglio comunale di Lucca. La sinistra si è indignata per un cartellone pubblicitario di una ditta edile che ritraeva una ragazza in posizione di sparo sulla pista d’atletica. Sopra la scritta «Ci siamo fatti il curriculum sull’asfalto. Siamo pronti a fare strada». E giù polemiche a non finire. I politici perbenisti l’hanno definita come una pubblicità che contribuisce «ad alimentare e consolidare gli stereotipi di genere, determinando un impatto negativo per la parità dei sessi». Secondo loro, da una ragazza in short piegata per iniziare una gara di velocità «nascono quei processi che possono poi portare anche a dinamiche di sopraffazione». Addirittura? Ci immaginiamo già un’impennata di abusi e molestie, a Lucca, in seguito a questa trovata di marketing. Dopo fascismo e razzismo, il termine sessismo si candida così a essere tra quelli più abusati in Italia. Ed è un peccato, perché su un tema così delicato è brutto confondere simpatiche e innocue campagne di marketing col vero significato di un termine che contempla brutte vicende di violenze e sopraffazioni.