Il 30% degli chef rischia il posto
Filippo La Mantia: «Tanti ristoranti in difficoltà»
■ Altro che cambiare mestiere, come sbottava tempo fa la viceministra Laura Castelli. Dopo il Covid, molti cuochi un mestiere non ce l'hanno proprio più. È allarmante la notizia lanciata dalla Federazione Italiana Cuochi: il 30% dei medesimi cuochi, dunque non solo chef ma anche sous-chef, capipartita e varie altre figure delle cucine professionali, è rimasto appiedato. In altri termini: disoccupato. La Federcuochi, del resto, già in marzo lamentava che l’intero settore aveva subìto una perdita di 50 milioni di euro in tre mesi. Oggi, per bocca del suo presidente Rocco Pozzulo, il sodalizio dei cucinieri italiani lancia l'allarme: tutto il comparto è a serio rischio bancarotta. Il perché, è presto detto: a causa della crisi generata dal lockdown, si prevede che gli italiani spenderanno il 40% in meno per mangiare fuori, con una perdita stimata intorno ai 34 miliardi di euro. È anche per questo che i cuochi confidano molto nel fondo salva-ristorazione da un miliardo di euro proposto dal ministro Teresa Bellanova: una boccata d’ossigeno in una situazione davvero tragica.
Ma perché i cuochi sono rimasti a piedi? Fino a poco tempo fa c’era ancora la febbre della cucina, il cuoco era una star, i vari Masterchef e simili avevano sdoganato un’immagine accattivante dello chef di cucina. Potenza del Coronavirus? Lo domandiamo a Filippo La Mantia, uno che non vuole nemmeno definirsi chef, ma solo cuoco e oste. Il che non gli ha impedito di raggranellare meritata fama con la sua rivisitazione certosina della cucina sicula a Milano, nel suo grande ristorante a piazza Risorgimento.
Allora: che succede ai suoi colleghi? Non riescono più a lavorare? Nella ristorazione, una volta di più, dunque ogni ristorante fa storia a sé?
«È esattamente così. Alcune sere fa a Milano sono andato a bere qualcosa assieme all’amico Davide Oldani, un caro collega. Ebbene: in Galleria Vittorio Emanuele era tutto chiuso o vuoto. E lo dico con la morte nel cuore. I posti che basavano la loro fortuna sul turismo sono quelli che hanno subìto maggiormente la mannaia del lockdown. E poi c’è il fattore rappresentato dagli eventi: una struttura come la mia si reggeva in piedi anche grazie a quelli. Pensate a chi vive di catering: lì tutto è rimasto congelato, azzerato. Lì un cuoco rischia eccome di perderlo, il posto.
Ma l’immagine del cuoco che ci arriva dalla tv, non dovrebbe comunque garantire una certa domanda?
«La tv ha fatto del bene a tutti. Io la evito, partecipo come ospite ma non faccio programmi, il mio carattere me lo impedisce. Ma il fatto è questo: da qualche anno, il cuoco è una star. Il cuoco ha ottenuto una visibilità, un ruolo che nemmeno immaginava avrebbe avuto mai. Ma non tutto quello che appare in televisione è corrispondente alla realtà assoluta».
Per esempio? Certo, le urla e le scalmane di certi grandi chef coi loro sottoposti non invogliano gli aspiranti a entrare in una cucina per essere massacrati...
«Esattamente. In tv viene molto “venduta” l'immagine di una cucina alla Gordon Ramsay. Invece no. Noi non lanciamo padelle, non tiriamo schiaffi. In una grande cucina, al momento del servizio, c’è quasi il silenzio. Certo, c’è disciplina ed etica: senza non si va avanti. Ma quel tipo di cucina coi caporalmaggiori viene maggiormente divulgata perché televisivamente funziona di più. Il punto comunque è che sarebbe triste se un ragazzo volesse, o addirittura non volesse fare il cuoco perché suggestionato da un programma televisivo».
Dunque il Coronavirus è il maggior colpevole dello stato di disoccupazione di molti colleghi. A tal proposito, come vede il fondo proposto dal ministro Bellanova?
«Se distribuito con correttezza, sarà un aiuto fondamentale, una boccata d’ossigeno. Noi rappresentiamo lo stile italiano. Arte, tradizione, storia, moda e cibo: queste sono le nostre carte vincenti. Se le trascuriamo, possiamo anche chiudere bottega. Anche lì comunque non si deve generalizzare: un ristorante aperto da 20 anni, con staff familiare, ha certamente saputo reggere meglio la botta della grande crisi. Ma un posto aperto da poco? Mediamente, i primi utili in questo settore si conseguono dopo almeno 6 anni di attività, lavorando ogni giorno. Ci tocca sperare nel meglio. Vedremo come supereremo l’estate».