PATRICIA URQUIOLA
«Il comfort non si lega a un attributo - largo, stretto, profondo, rigido, morbido - piuttosto alla relazione con se stessi»
1Quello che chiamiamo comfort è un’esperienza puramente mentale. Il fachiro sta bene sdraiato su una superficie di chiodi, no? Ecco, quello è il suo divano, l’oggetto della sua distensione. Impossibile parlare di categorie fisse, la comodità non si lega a un attributo – largo, stretto, profondo, rigido, morbido, eccetera – piuttosto a una modalità d’uso, a una relazione che parte da se stessi
2PATRICIAURQUIOLA.COM Per me il paradigma del divano, il suo senso originario, lo troviamo nell’amaca. L’amaca ti stacca da terra e ti accoglie: è quanto basta. A partire da lì si irradiano forme che corrispondono a usi variabili e quindi alla temporalità, al come si vive in quel momento. Mi piace ricordare il rigore elegante di Caccia Dominioni, la classicità americana di Knoll, il genio innovatore di Vico Magistretti
3Non esiste rivestimento che non si possa togliere, né un decoro che non sia esso stesso ‘materia’. Il rivestimento è il divano: in relazione diretta con la struttura, parte essenziale del progetto e della sua innovazione. Mi viene in mente Bohemian, disegnato per Moroso, un divano che rimanda all’estetica capitonné del Chester, ma con la funzionalità degli automatici, come un piumino Moncler
4Due le domande essenziali che bisognerebbe farsi prima dell’acquisto: in che modo uso il divano e dove lo metto (‘che cosa mi piace’ viene dopo). Via i dogmi, non servono: non è detto che un luogo piccolo voglia un divano piccolo, a volte vale il contrario. Meglio pensare l’imbottito come un luogo multifunzionale e aperto. Uno spazio che sappia accogliere gli amici e le proprie abitudini