IL MAGAZZINO DELL’ARTE ITALIANA
SULLE RIVE DELL’HUDSON, A UN’ORA DA MANHATTAN, LO SPAZIO ESPOSITIVO VOLUTO DAI MECENATI NANCY OLNICK E GIORGIO SPANU FA DA CORNICE AI CAPOLAVORI DI ARTE POVERA DELLA LORO COLLEZIONE
All’origine di tutto c’è la casa. Un’idea molto rinascimentale di casa. «Cercavamo uno spazio per ospitare la nostra collezione d’arte», dice Nancy Olnick, ideatrice di Magazzino Italian Art insieme al marito Giorgio Spanu, «il polo nasce proprio come estensione della nostra abitazione. Non è né una fondazione né un museo, ma un vero e proprio magazzino di cui vorremmo preservare le caratteristiche. Un luogo capace di attrarre visitatori e ricercatori, per le mostre, i programmi di lecture e le performance, le opere e la grande biblioteca». La vera natura di questo centro espositivo che ha scelto come tema principale l’Arte Povera, immerso tra i boschi di Cold Spring nell’Hudson Valley, si rivela lentamente e a ritroso. Giorgio Spanu e Nancy Olnick collezionano arte da quasi trent’anni, da quando si sono conosciuti e poi sposati. «Abbiamo un’estetica affine: dapprima i vetri di Murano, poi le ceramiche, e infine ci ha stregato l’Arte Povera. Le opere di artisti come Michelangelo Pistoletto, Giovanni Anselmo, Gilberto Zorio, Giuseppe Penone, Jannis Kounellis sono installazioni spesso di grandi dimensioni che hanno bisogno di un ambiente appropriato per essere goduti appieno», spiega Giorgio Spanu. Così nasce Magazzino, un ex deposito industriale, spogliato fino alla sua struttura portante e poi ricaricato di solarità mediterranea. Il
progettista, l’architetto spagnolo Miguel Gismondo, ha poi integrato lo spazio con una seconda galleria costruita ex novo, collegata alla precedente da un passaggio vetrato. «Il contenitore doveva essere il più discreto e umile possibile», dice l’architetto, che ha invece affidato alla luce che filtra dalle finestre e dei lucernari il ruolo principale. Le opere interagiscono con le condizioni atmosferiche, con i diversi gradi di luminosità esterna. I due calchi classici di Giulio Paolini dell’opera Mimesi del ’76, fluttuano nella luce che entra dalla grande finestra vetrata retrostante, stagliati, con i loro profili classici e l’incrocio di sguardi, contro il verde degli alberi all’esterno, mentre in Due Nudi che scendono le scale di Luciano Fabro, la luce inonda e leviga le lastre di marmo Bardiglio disposte su tre gradini, stemperandosi gradualmente nell’ombra. Per pura casualità, Magazzino si trova a pochi chilometri dal Dia Beacon, uno dei più grandi musei degli Stati Uniti, dove si celebra l’arte americana del Dopoguerra, il parallelo storico dell’Arte Povera italiana. «Quella con l’arte americana è una giustapposizione interessante. Ho collezionato a lungo la Pop Art e ne sono ancora innamorata. Ma l’Arte Povera riesce a esplorare la condizione umana con una freschezza e allo stesso tempo una gravità, che ogni volta mi emoziona. È
«IL CONTENITORE DOVEVA ESSERE IL PIù DISCRETO E UMILE POSSIBILE. LA LUCE INVECE è PROTAGONISTA E INTERAGISCE CON LE OPERE» Miguel Gismondo
un’arte per certi versi esoterica», dice Nancy Olnick che, figlia di Robert Olnick, colosso del real estate e collezionista a sua volta, ha vissuto una vita a contatto con l’arte. Sorriso smagliante lei, piglio risoluto lui, Giorgio. Nella vicina casa di campagna di Garrison, un’opera in carta realizzata da Stefano Arienti ritrae lei in forme morbide e lui con tagli più netti. «L’artista diceva che io sono quella gioiosa mentre Giorgio è quello più spigoloso», scherza Nancy. Nella proprietà di Garrison i due tengono residenze d’artista, con le opere che invadono la casa e il parco. Insieme hanno costruito un rapporto unico con l’arte e gli artisti. «Molti di loro sono venuti a trovarci», racconta Spanu. «Pochi mesi fa Michelangelo Pistoletto ha generosamente accettato di rifare la performance degli anni Sessanta Scultura da Passeggio, un momento straordinario». Sotto gli occhi increduli degli abitanti del paese, Pistoletto ha fatto rotolare una sfera di carta di giornali, seguito in corsa da un folto e appassionato popolo dell’arte in trasferta da New York – lontana solo un’ottantina di chilometri – tra le strade del centro abitato. Succedeva a Torino nel ’67, dopo cinquant’anni si ripete a Magazzino, un’ambasciata per l’arte italiana negli Stati Uniti. MAGAZZINO.ART