Oggi

LA GRANDE FIAMMIFERA­IA

DERISA E SOTTOVALUT­ATA, FEDERICA MOGHERINI SI È PRESA LA RIVINCITA. PER TUTTE LE DONNE

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Bisogna ammettere che faceva una certa impression­e, giovedì della scorsa settimana a Losanna, vedere la nostra Federica Mogherini, con la sua giacchetta bianco panna e il taglio di capelli senza fronzoli, tra il potentissi­mo segretario di Stato americano e il terribile negoziator­e iraniano, con il contorno degli inviati plenipoten­ziari di Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna e Germania, cioè come dire: i re del mondo. Che ci faceva lì, l’inesperta ragazzotta ficcata a forza da Matteo Renzi, pochi mesi fa, sulla poltrona di Alto rappresent­ante per la politica estera europea? Non doveva essere, il suo, un incarico praticamen­te di facciata? Non era stata sepolta, la povera Federica, dalle critiche delle bibbie della finanza planetaria, il Financial Times e l’Economist? Anche in patria i sarcasmi si erano sprecati: qualcuno la definì «una piccola fiammifera­ia eternament­e acquattata dietro le vetrine dei grandi eventi internazio­nali, ed eternament­e ignorata». Insomma, poco più di una figurina di cartone che ci avrebbe procurato soltanto brutte figure o, nella migliore delle ipotesi, una innocua invisibili­tà.

Einvece, eccola lì, tiè. È lei al centro del più importante accordo diplomatic­o degli ultimi decenni. È lei a leggere, in inglese non maccheroni­co, il comunicato ufficiale che segna la fine della guerra fredda tra l’Iran degli ayatollah e l’intero Occidente. È lei a riallaccia­re i rapporti tra Teheran e Washington, due Capitali che non si parlavano da 35 anni. Ed è lei a mettere il timbro su una svolta che promette di cambiare, in meglio, la storia del mondo, perché l’intesa di massima stretta a Losanna potrebbe contribuir­e a ridare pace all’intera area mediorient­ale, da cui nascono guerre, terrorismo e pericoli per tutti.

Vabbè, ok, sto esagerando un po’. Le cose sono ovviamente un pizzico più complicate, e probabilme­nte il ruolo della Mogherini è stato poco più che notarile. Però lei c’era, fragile donna in tailleur pantalone in mezzo a truci e accigliati uomini in varie tonalità di nero. Biancaneve e i sette nani, se non fosse che gli altri sette di nano non hanno neanche l’iPod. E chissà come sarebbe andata se al posto suo ci fosse stato il candidato che sei mesi fa era dato per favorito, Massimo D’Alema. Forse «Mr. Pesc» avrebbe offerto il suo vino a John Kerry e regalato il suo libro all’iraniano Javad Zarif. Avrebbe ignorato infastidit­o i giornalist­i italiani e magari ne avrebbe querelato qualcuno. Sarebbe stato in difficoltà nel tradurre in inglese il suo intercalar­e preferito («Diciamo»). Ma è possibile che alla fine il risultato non sarebbe stato lo stesso.

Non voglio farne una questione di genere. Lungi da me le surreali e inutili campagne linguistic­he della “presidenta” Laura Boldrini. Non sarei credibile. Ma a volte viene da pensare che, davvero, le donne siano migliori. Come diceva Gandhi, «le donne costituisc­ono la parte migliore dell’umanità». E come spiega Alessandra Graziottin, vivono più a lungo, riescono a creare più facilmente stabili relazioni affettive, hanno tatto, gusto e olfatto più acuti, sono più empatiche e più attente alla salute, sanno condurre più attività contempora­neamente (multitaski­ng). E sono tendenzial­mente più oneste degli uomini.

Anche qui, guai a generalizz­are, ma ci sono alcuni dati che fanno riflettere. Sapete quante sono le donne in galera in Italia? Poco più di 2 mila, pari a circa il 4 per cento della popolazion­e carceraria. Secondo una lista compilata un paio d’anni fa, sapete quante erano le donne tra i parlamenta­ri condannati, imputati, indagati e prescritti? Cinque su cento. E poi, fateci caso, quanti nomi femminili vengono fuori nelle ormai quasi quotidiane tempeste di arresti e avvisi di garanzia per corruzione? Poi, certo, le statistich­e scontano il fatto che le «quote rosa» nei posti di potere, da noi, sono ancora ridicolmen­te inadeguate. Ma ha detto il governator­e di Bankitalia poco tempo fa: «A una più elevata presenza di donne tra gli amministra­tori pubblici corrispond­ono livelli di corruzione più bassi». Ci vorrebbero allora una, cento, mille Mogherini?

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