COME IN UN THRILLER
IL PROCESSO A MASSIMO BOSSETTI, IL RUOLO DI ACCUSA E DIFESA, LA RICERCA DELLA VERITÀ
Michael Connelly è, secondo me, il più grande scrittore di gialli vivente. Chi legge i suoi romanzi sa che vi si alternano (e a volte si incontrano) due protagonisti, che sono anche fratellastri. Il più noto è il poliziotto: Hieronymus “Harry” Bosch, che lavora per far condannare i cattivi e sbatterli in galera. L’altro si chiama Mickey Haller, è avvocato e il suo obiettivo è far assolvere gli imputati e metterli fuori, liberi. Ovviamente tra i primi, l’Accusa, e i secondi, la Difesa, c’è sempre qualcuno che gioca sporco (altrimenti che legal thriller sarebbero?). Alla fine, spesso non vince nessuno dei due, e non sempre trionfa la Giustizia. Proprio come nella realtà. Proprio come da noi.
Perché vi cito Connelly? Per spiegare il senso della nostra copertina su Massimo Bossetti e l’omicidio di Yara Gambirasio. Una copertina che, lo so già, farà storcere il naso a più di un lettore. In particolare a coloro che sono graniticamente certi che il muratore di Mapello sia il carnefice della povera ragazzina. Chiarisco subito: né io né il nostro giornale siamo “innocentisti”. E neppure siamo “colpevolisti”. Chi siamo noi per saperlo? Chi siamo noi (o voi) per deciderlo? Per questo esiste la civiltà giuridica, esistono le indagini, i processi, gli indizi, le prove, i giudici. Per questo esiste la Giustizia con la G maiuscola. Che però talvolta, come nei romanzi di Connelly, non funziona a dovere.
Purtroppo sta accadendo per Bossetti ciò che è già successo in molti altri casi di cronaca nera che hanno colpito tutti. C’è un omicidio che suscita sdegno (tanto più se compiuto ai danni di una innocente, una adolescente che potrebbe essere la figlia di ciascuno di noi), gli inquirenti lavorano, trovano un sospetto, lo incolpano formalmente, lo arrestano… e a questo punto, per l’opinione pubblica, il tizio è già condannato. Il mostro è lui (noi stessi, quando presero Bossetti, in redazione gridammo al “mostro”). Tutto il resto, il processo, il dibattimento, l’esame degli indizi eccetera, diventa un fastidioso contorno che rallenta l’esito considerato inevitabile. È successo con Amanda e Raffaele, con Raniero Busco, con Olindo e Rosa, con Alberto Stasi. Peccato che poi, dopo i vari gradi di giudizio, alcuni di questi “presunti colpevoli” siano stati condannati, e altri clamorosamente assolti. e lezioni del passato dovrebbero dunque consigliare prudenza, soprattutto a chi ha la responsabilità di informare l’opinione pubblica, mentre spesso assistiamo a una acritica adesione alle tesi accusatorie (magari per tenersi buoni i magistrati che poi passano ai giornali le veline, oops, le notizie). Un po’ lo capisco. È un affare complicato quello di mettersi in discussione, andare a riesaminare ciò che sembra scontato, farsi venire dei dubbi. Non si può pretendere che lo faccia il comune lettore, e forse neppure il singolo giornalista. Ma altri dovrebbero farlo eccome.
Nel nostro ordinamento, Accusa e Difesa hanno ovviamente ruoli diversi, come Bosch e Haller. Ma mentre la Difesa mira soltanto alla tutela dell’imputato, che egli sia colpevole o innocente, l’Accusa avrebbe in realtà un dovere duplice. E cioè anche quello di trovare eventuali prove a discarico. Se un pubblico ministero si imbatte in un’evidenza a favore dell’imputato, non può nasconderla, non può archiviarla. E sapete perché? Perché la Procura della Repubblica non dovrebbe puntare semplicemente alla condanna. Deve mirare alla ricerca della verità. L’intero processo va alla ricerca della verità dei fatti, tant’è vero che, si sa, le prove non sono nulla prima del dibattimento: le prove si formano durante il dibattimento. E quelle che prima sembravano prove inconfutabili, durante il processo possono rivelarsi abbagli, equivoci, fraintendimenti. È già successo, succederà ancora. Se però l’Accusa passa dalla ricerca della verità alla dimostrazione di un teorema, allora sbanda. Se si cercano conferme a una tesi precostituita non si fa un buon servizio alla Giustizia. Io non so se questo stia avvenendo con Bossetti, ma di sicuro, come potete leggere nei servizi da pag. 16, è in corso un processo piuttosto bizzarro.
PYara Gambirasio, uccisa il 26 novembre 2010. Bossetti è l’unico imputato.
Lersonalmente, non sono interessato alla sorte del muratore: se sarà dichiarato colpevole, che marcisca in galera, e a volte mi viene da pensare che la galera sarebbe poco. Sono però fortemente interessato alla (vera) giustizia per Yara. E alla giustizia per tutti noi. Perché il processo in corso a Bergamo è un banco di prova per capire se e come funzionano le indagini, se e come funziona il meccanismo accusatorio. In definitiva se e come funziona la Giustizia in Italia.