TRE MESI FA, STESSA PIAZZA, STESSO DRAMMA
o sala posa per servizi fotografici. Poco prima d’arrivare a casa di lei, il fidanzato la lascia, prende un taxi, torna indietro, verso le due di notte recupera l’auto e nota nel portaoggetti le chiavi dell’appartamento di Carlotta. Capisce che lei non sarebbe più riuscita a rientrare in casa, ma non corre a consegnargliele e se ne va. Il ragazzo ha ricostruito con una certa precisione la maratona notturna per le vie di Milano e per verificare il suo racconto la Procura ha già recuperato i video delle telecamere piazzate sul percorso. «Tutte tranne una», dice una donna, «la più importante, situata davanti a casa di Carlotta tra piazza Napoli e via Vespri Siciliani. È fuori uso da mesi».
LA VERITÀ È NEI VIDEO
Sarebbe una lacuna grave. Ma se il riferimento delle chiavi fosse vero, le altre riprese video potrebbero essere d’aiuto anche per mettere a posto alcuni tasselli. Uno in particolare. Se Carlotta non ha potuto rientrare in casa vuol dire che aveva su di sé la sciarpa utilizzata per impiccarsi. Era lunga almeno due metri e anche nell’approssimazione dei video di sicurezza si dovrebbe vedere. Una donna presente sulla scena, subito dopo il ritrovamento del cadavere, ha notato altri particolari che in caso di conferma aggiungerebbero mistero a mistero. «Quando sono arrivati i Carabinieri», racconta la donna, «hanno liberato il corpo e lo hanno steso su un telo per fare i primi controlli. Ho notato che sotto l’impermeabile nero quella poveretta non aveva nulla, era in slip e maglietta. Come se fosse saltata giù dal letto, si fosse messa addosso uno spolverino e fosse scappata fuori». Cosa significa? Che Carlotta quella sera era uscita di casa così? Oppure, prima di uccidersi si è liberata di alcuni indumenti? O ancora, aveva un altro mazzo di chiavi, è riuscita a entrare in casa e poi è uscita nuovamente nel cuore della notte per farla finita? Quando l’hanno trovata alle 5.45 di martedì 31 maggio, era sul perimetro dei giardini pubblici, a ridosso del marciapiede e del parcheggio, addosso a un alberello. Una sciarpa annodata e lanciata attorno a un ramo a 2,30 metri d’altezza le girava attorno al collo, le impediva di cadere e la manteneva in posizione eretta: la schiena era appoggiata al tronco, le ginocchia piegate, i piedi piantati a terra 40 centimetri più avanti, il collo piegato e il mento schiacciato sul petto. «Aveva un impermeabile nero e corto e un paio di stivali anche quelli neri», dice Cristina, la donna uscita all’alba col suo cane lupo, che per prima ha dato l’allarme. «Il volto era scuro tanto che ho pensato a una sudamericana, ma le gambe, almeno la parte scoperta erano molto chiare». Milano. Il 4 marzo scorso, gli agenti di Polizia in piazza Napoli per una donna dell’Est impiccata con un lenzuolo. Tra chi abita in zona, ora serpeggia la paura del serial killer.
DUE MORTI STRANE
A 30 metri dalla pianta dove Carlotta è stata trovata senza vita, sedute su una panchina davanti al parco giochi, tre mamme condividono la stessa idea: «Delle due l’una», dice Barbara, «o è stato qualcuno che la conosceva, oppure qui c’è in giro un serial killer. Il bello è che nessuno ne parla. Carlotta non è la prima. Qui, tre mesi fa, appesa all’inferriata dei vecchi bagni pubblici è stata trovata un’altra donna». È vero. I giornali avevano liquidato il fatto con poche righe. A suicidarsi era stata una clochard di 46 anni, di origine polacca. «Non era barbona e non era polacca», corregge Barbara. «Era gentile, pulita e molti di noi s’erano fermati a parlare con lei. Era arrivata l’1 o il 2 di marzo, si chiamava Paulina ed era originaria della Bulgaria. Due o tre giorni prima l’avevano sbattuta fuori casa ed era alla ricerca di un nuovo alloggio. Era serena, sorridente, aveva una borsa con vestiti e asciugamani e la notte per dormire si infilava in un sacco a pelo. È durata poco. La mattina del 4 marzo l’hanno trovata impiccata. Come? Con un lenzuolo, che non aveva. E adesso Carlotta con la sciarpa. Due stranissimi suicidi in meno di tre mesi. E noi non dovremmo avere paura?».