Oggi

SUL SOGLIO PER 33 GIORNI

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buona notte... Spensi la luce alle 22 e 45. Erano le 5 e 45 quando mi sentii chiamare per nome... Corsi in camera del Santo Padre che era a letto, ben appoggiato ai cuscini, con la testa reclinata in basso, gli occhiali sul naso, la bocca leggerment­e aperta, le mani che reggevano saldamente alcuni fogli stampati». «Nel 1986, Don Lorenzi», continua Grosso, «conferma l’identica versione dei fatti alla scrittrice tedesca Re- gina Kummer, autrice del libro Una vita per la Chiesa, biografia di Albino Luciani. Poi nel 1988 – colpo di scena – intervenen­do alla trasmissio­ne Giallo di Enzo Tortora – racconta tutta un’altra storia: nel pomeriggio del 28 settembre del 1978, verso le 15, Papa Luciani si era sentito male una prima volta avvertendo delle fitte al petto. Il malessere si era ripetuto verso metà della cena. “Alla nostra richiesta di convocare un medico”, disse Lorenzi, A sinistra, Albino Luciani ( 19121978). Sopra, don Diego Lorenzi, suo segretario sia da patriarca di Venezia sia in Vaticano. A Oggi dice: «Non parlo, il caso è chiuso». “ha risposto: mi sta passando, mi sta passando. E siccome la nostra educazione nel rispettare i superiori, tanto più un Papa, ci impediva di disobbedir­e, abbiamo ritenuto opportuno non chiamare il medico”».

BRUSCO E LACONICO

«Perché», dice Grosso, «don Diego Lorenzi ha taciuto per dieci anni un particolar­e così importante? E se il Papa era stato colpito da un malessere cardiaco rivelatosi poi fatale come può essersi recato in terrazza a fare moto per poi continuare fino a tardi il suo lavoro come se nulla fosse? E perché, quando alle 21.30 di quel giorno telefonò dal Veneto il dottor Antonio Da Ros, da oltre vent’anni medico personale di Albino Luciani, non gli fu rivelato nulla di quel malore e anzi il dottore disse poi che il Papa era sereno e stava bene? E perché, se anche il Papa non voleva essere visitato, non furono comunque avvisate le alte gerarchie vaticane?». Proviamo a girare queste domande a don Diego Lorenzi, 77 anni, che rintraccia­mo presso un istituto religioso di Milano dove risiede da tempo. Ma lui ci congeda bruscament­e. «Non parlo di Albino Luciani», ci dice. «Dopo tanti anni, per me è un caso chiuso». Ma Grosso non si rassegna: «Deve parlare».

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