LA RAGGI A SCROCCO
CRONISTORIA DI UN EPISODIO MOLTO PICCOLO, MA ANCHE MOLTO ISTRUTTIVO
Nei giorni scorsi mi sono trovato, mio malgrado, a duellare con la sindaca di Roma. «Brindani contro la Raggi», ha titolato qualcuno. Ullallà! Ma che diavolo era successo? È una storia piccolissima, ma ve la voglio raccontare perché fa capire come lavoriamo, nei giornali seri e onesti, e illumina un poco quel misto di arroganza e superficialità che alberga in certi palazzi del potere e in chi dei giornali e dei giornalisti farebbe volentieri a meno, magari sognando un mondo in cui impera la «democrazia diretta» dei social network.
Dunque, una sera, a casa di amici, conosco Nicola Delfino, un simpatico signore che fa lo chef e ha un ristorante a Roma. Chiacchierando del più e del meno, a un certo punto, non ricordo a proposito di che cosa, mi racconta che una volta ha avuto nella sua osteria “da Benito al Ghetto” nientemeno che Virginia Raggi. «Entra in cucina uno dei camerieri e mi dice: “C’è la sindaca!”». Un ospite di riguardo, per un ristorante conosciuto in città ma non certo nel giro dei locali vip. Dice Nicola: «Mi do da fare, prendo le ordinazioni, fra l’altro una bella caponata alla siciliana, e alla fine del pasto vado in sala a salutarla. È con un accompagnatore, che non riconosco. Le dico che è stato un piacere averla da noi. Lei ringrazia, si alza e se ne va. Senza pagare il conto!». Scuote la testa e si fa una bella risata. Io pure. Scambiamo qualche banalità sui politici scrocconi e certi vizietti romani, e finisce lì.
Naturalmente, io faccio il giornalista e si dà il caso che sappia riconoscere una notizia, per quanto minuscola. Un rappresentante delle istituzioni che non paga il conto al ristorante è come l’uomo che morde il cane, anche se bisogna ammettere che probabilmente, nella politica romana, gli uomini che mordono cani sono la maggioranza. Vabbè. Così, nel numero 13 di Oggi, la scrivo. Senza enfatizzarla (è un breve riquadro a pag. 113), senza commentarla, senza rivelare il nome dello chef o del suo ristorante: poche righe di puro divertissement. Non faccio lanci stampa. Ma se ne accorge Dagospia, che la riprende. Poi il Corriere della Sera, poi Messaggero e Repubblica, poi altri giornali e i siti internet di informazione. In breve, scoppia il nuovo, ennesimo «caso Raggi». Visto che tutti vogliono saperne di più, chiedo a Nicola se accetta di uscire allo scoperto. «Ma certo, che problema c’è? Non ho mica fatto niente di male», mi risponde. Già. Non ci metterà molto a pentirsene.
Infatti i grillini si scatenano sul Web. Contro di lui, contro di me e il mio giornale. Fin qui, tutto normale, diciamo. Peccato che sabato sera decida di intervenire la sindaca in persona. Su Facebook scrive, fra l’altro, che «per attaccarci inventano notizie di sana pianta». Lei, racconta, aveva solo raggiunto un gruppo di amici dopo cena, e aveva bevuto un bicchiere d’acqua, quindi non doveva pagare nessun conto. A questo punto, accusato da lei di «inventare notizie false», devo replicare, intervenendo su internet e dando tutti i dettagli che in un primo tempo avevo omesso: nome dello chef, del ristorante, menu, particolari di abbigliamento della sindaca, e così via. La Raggi, nel momento in cui scrivo, non ha contro-replicato. E la capisco: è un fatterello avvenuto alcuni mesi fa, e sicuramente lei non se lo ricordava, mentre aveva ben presente un altro episodio più recente (quello del bicchiere d’acqua).
Non voglio infierire, di certo è stato un malinteso: lo chef si era detto onorato di averla ospite e lei, equivocando, aveva capito che il pranzo era offerto (ma le mance per i camerieri poteva lasciarle, dai). Il punto è un altro. Perché accusare un giornale di «inventare le notizie»? Perché spianare la strada agli odiatori del Web e a chi non vede l’ora di insultare, peraltro senza conoscere i fatti? Perché alimentare il mantra del «noi siamo diversi» quando peccati e peccatucci li commettono tutti? E la signora Raggi forse pensa che se il protagonista fosse stato Marino o Alemanno, o Renzi, o chiunque altro, non l’avrei scritto? Mah. Fine della storiella. A questo punto, però, una cosa me la auguro: che la sindaca torni a mangiare da Nicola, si scusi e, stavolta, paghi il conto. Mance comprese.