Malaria, la tragedia di Sofia
«Le sorelline africane non c’entrano»
Igenitori di Sofia Vago si son visti strappare una figlia di quattro anni e a parte un certificato di morte per malaria non hanno in mano niente. Non sanno quando la bambina s’è ammalata, come è stata infettata e perché non sia stato possibile curarla in tempo. Chiusi in casa a Trento papà Marco e mamma Francesca, si muovono in silenzio attorno alla voragine che da un giorno all’altro s’è spalancata nelle loro vite. Pensano come evitare traumi al loro unico figlio, sei anni più grande di Sofia, e chiedono di essere lasciati in pace. «Rispettate il nostro dolore», hanno detto. La tragedia però non può essere circoscritta a un ambito familiare. È già un caso nazionale. Forse addirittura internazionale. Il corpicino consumato dalle febbri suscita commozione. Ma il sentimento di pietà si mescola all’angoscia. Riappare lo spettro di una peste che si credeva sconfitta. Si risvegliano ansie, paure, pregiudizi. E si accavallano domande. Nel 2017 si può ancoramorire dimalaria? Cos’è successo a Sofia? Il suo
dramma sarà ricordato come il frutto di una concatenazione irripetibile e maledetta di eventi, oppure come il segnale di ritorno della malattia? È colpa di qualcuno? Come si trasmette oggi l’infezione? Quali sono i suoi sintomi? Ci possiamo difendere e come? Le istituzioni si stanno muovendo per dare una risposta a tutto. O almeno ci provano. Indagano gli esperti del ministero della Salute, dell’Istituto superiore della sanità e i carabinieri del Nas. S’è mossa anche la magistratura e il procuratore di Trento Marco Gallina ha aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo. Le indagini avranno bisogno di tempo e un primo esito, ammesso ce ne possa essere uno, potrà arrivare come minimo tra due settimane. Per anticipare almeno alcune delle conclusioni Oggi ha sentito Peter Kremsner, professore in malattie tropicali e parassitologia all’Università diTubinga inGermania. È considerato uno deimassimi esperti dimalaria al mondo. Di recente ha messo a punto un vaccino antimalarico e la scoperta da Nobel è stata annunciata nel febbraio scorso dalla rivista Nature. I risultati ottenuti in fase sperimentale sono sorprendenti: il cento per cento dei pazienti sottoposti a trattamento sono risultati immuni alla malattia.
Professore, partiamo da Sofia. La bambina non è stata in zona malarica. Come può aver contratto la malattia?
«Seguiamo la vicenda e abbiamo ac- quisito tutti i dati disponibili. Non è il primo caso, ma si tratta di eventi eccezionali, dove è difficile risalire alla fonte d’infezione. La malaria, meglio chiarirlo subito, non si trasmette per via aerea, contatto fisico o rapporti sessuali. Escludendo errori clamorosi, come unamassiccia trasfusione di sangue contaminato, il vettore dev’essere per forza di cose una zanzara di tipo anofele, l’unica che può veicolare il parassita del plasmodium».
Tra il 16 e il 20 agosto, quando Sofia era ricoverata per una febbre diabetica in pediatria a Trento, nello stesso reparto erano in cura due sorelle che avevano preso la malaria in Burkina Faso. Gli inquirenti ipotizzano che un anofele abbia punto le bimbe malate e poi Sofia, tramettendole così i parassiti.
«L’ho letto, ma è strano che si ragioni su un’ipotesi del genere. Non sta in piedi. È priva di qualsiasi fondamento scientifico, in quanto non tiene conto dei tempi necessari per lamaturazione e la trasmissione del plasmodium. E le nozioni a cui faccio riferimento non sono segrete, è tutta roba arcinota, che si può trovare anche sul web».
Può aiutarci a capire perché ritiene l’ipotesi impossibile?
«Ci provo. InEuropa abbiamo sconfitto la malaria ma non la zanzara anofele, che talvolta, molto raramente, si mostra ancora ingrado di trasmettere i parassiti della malaria. Lo fa in modo inefficiente e solo in presenza di condizioni ottimali: deve avere nutrimento abbondante, alte temperature, umidità
elevata e la possibilità di pungere una personamalata. Quando l’anofele succhia il sangue infetto non incorpora il plasmodium, ma i suoi gameti sessuali maschili e femminili, li trattiene nello stomaco e fa da incubatrice al parassita. Nell’arco di circa due settimane si completa il ciclo del plasmodium che solo a partire da quel momento può essere iniettato e provocare una nuova infezione».
Chiaro. Ma perché questo non può essere successo a Trento nel reparto di pediatria?
«Per una questione di tempi. Abbiamo chiesto e ottenuto le date esatte dei ricoveri. Sofia è stata in reparto dal 16 al 20 agosto, una bambina del Burkina dal 16 al 21 e la sorella dal 20, quando Sofia era già stata dimessa, fino al 24. L’ho detto, occorre un intervallo di almeno due settimane per lo sviluppo del parassita, mentre qui si gioca tutto su una concomitanza di pochi giorni. Le due sorelle delBurkina non c’entrano».
Quindi va escluso il contagio in pediatria a Trento?
«No, non va escluso. Piuttosto bisogna guardare indietro e controllare le date dei ricoveri precedenti. Ce ne risultano due. Uno dal 19 al 25 luglio in pediatria. L’altro dal 29 luglio al 4 agosto al reparto malattie infettive. Se una zanzara anofele avesse punto uno di questi due soggetti, avrebbe avuto il tempo di portare a maturazione il plasmodium e avrebbe potuto trasmetterlo a Sofia mentre era ricoverata. Dovendo fare un confronto sui ceppi genetici del parassita, lascerei perdere le sorelline del Burkina e mi concentrerei sugli altri due pazienti».
Se questa dinamica di contagio è possibile dobbiamo considerare gli ospedali luoghi a rischio?
«Il rischio è minimo, ma in effetti esiste. Forse andrebbero rivisti i protocolli sanitari per il trattamento ospedaliero della malaria».
Professore, la globalizzazione fa viaggiare uomini e merci, ma anche virus, batteri e parassiti. Dobbiamo aver paura di un ritorno della malaria?
«Direi dino. Le zanzare più pericolose possono anche arrivare nelle cabine degli aerei, ma si tratta di casi rarissimi, e gli anofele rimasti in Europa hanno una limitatissima capacità di trasmettere la malattia. Certo, l’incremento del traffico dall’Africa e un caso come quello della piccola Sofia, per quanto eccezionale, impongono un
innalzamento del livello di guardia». Cosa si potrebbe fare? «Sarebbe bene fare informazione sulla malattia e i suoi sintomi, che purtroppo vengono spesso confusi con quelli dell’influenza. Una persona con febbre alta, mal di testa, dolori articolari in teoria potrebbe avere la malaria ma viene sempre curata con aspirina e paracetamolo. A fine agosto la povera Sofia è stata portata in ospedale con l’infezione in corso e le è stata diagnosticata una faringite. Dopo due giorni è morta. In presenza di determinati sintomi le autorità sanitarie dovrebbero forse prevedere il test antimalarico della goccia spessa». Come s’effettua il test antimalarico? «Basta bucare un dito con una puntura di spillo, prelevare una goccia di sangue, stenderla su un vetrino e osservarla al microscopio. I parassiti, se ci sono, si vedono subito». Si può prevenire la malaria? «Finora nessuna prevenzione s’è mostrata efficace al 100 per cento. Si tratta spesso di farmaci molto pesanti per l’organismo, in particolare per il fegato, ed è bene che ognuno prima di decidere il tipo di prevenzione si consulti con il proprio medico. L’ideale è un vaccino come quello a cui stiamo lavorando. I risultati sonomolto incoraggianti. Rimane da capire la durata del suo effetto». Si guarisce dalla malaria? «Dalla malaria si guarisce sempre a patto che venga presa in tempo. La malattia ha un incubazione tra i dieci e i venti giorni, quando si manifesta provoca febbreemal di testa per due o tre giorni ed è in questa fase che bisogna intervenire. L’infezione si stronca senza lasciare tracce con prodotti derivati dal chinino o dall’artemisia. Se si lasciano passare altre 24 o 48 ore il rischio aumenta, ma se il soggetto non è debilitato da altre malattie è ancora possibile rimediare. Dopo il sesto giorno i parassiti possono raggiungere il cervello o altri organi vitali e a quel punto le chance di successo diminuiscono inmodo drastico. È facile che il soggetto entri in coma e muoia. È un destino che colpisce ogni anno più di unmilione di persone».