Il papà-bancomat
Condannato a mantenere la figlia di 26 anni
Mentre i politici discutono di reddito di cittadinanza, la gran parte dei genitori fa i conti da decenni con una “misura” tipicamente italiana: il reddito di figliolanza. Èun diritto che pare slegato da qualsiasi dovere, spetta alla prole già maggiorenne e ancora lontana dal mantenersi, ed è previsto in modo un po’ fumoso da uno degli articoli più lunghi del codice civile. A precisarne i contorni, con una meticolosità che spacca il centesimo, ci ha pensato CarlottaCecchini daCordovado, inFriuli, studentessa fuori corso di 26 anni che da sette prova, con un certo aplomb, a venire a capo di una laurea triennale in Relazioni pubbliche. Carlotta ha trascinato in tribunale il padre Gino, agronomo di 59 anni, chiedendogli 2.577 euro e 38 centesimi al mese «per le mie necessità e le spese straordinarie».
Cecchini, come si è finiti in un’aula giudiziaria?
«Semplice: nell’ottobre del 2016, visto che la mia figliola aveva dato solo la metà degli esami, mi sono rifiutato di iscriverla al settimo, e sottolineo settimo, anno di un corso che dovrebbe durare un triennio. Due settimane dopo, ai primi di novembre, mi è arrivata la lettera del suo avvocato».
Cosa diceva?
«Era un papiro di 15 pagine. Allegate agli atti, c’erano persino le password dei miei conti correnti on line. Qualunque cancelliere avrebbe potuto digitarle e drenarmi tutti i soldi».
A proposito di drenarle soldi: 2.577 al mese euro sono tanti.
«La lista delle spese stilata da mia figlia era dettagliatissima: 50 euro per il parrucchiere, 60 per l’estetista, 83 per le lezioni di musica, 50 per la piscina, 33 per la palestra… Oltre a tutte queste voci e ad alcune più “ordinarie” - visite mediche, tasse universitarie, l’affitto di una stanza vicina alla Facoltà - pretendeva altri 400 euro mensili per lo svago».
E i giudici le hanno dato ragione.
«Nella sostanza, sì. In primo grado mi hanno condannato a versarle 500 euro. L’appelloha ridotto la “paghetta” a 350».
Quando abitavate insieme, lei gliene dava 80. Lo ammetta: un po’ pochi.
«Ma il resto - vitto, alloggio, vestiario, visite specialistiche, gasolio per la macchina, discoteca, ricarica del cellulare – era gentilmente offerto dalla casa. Quei 20 euro a settimana erano un extra per le emergenze: volevo avesse sempre qualche spicciolo in tasca. Anche i 350 euro che le verso ora sono per le necessità che lei chiama “personalissime”. In più mi sobbarco le tasse universitarie, la stanza di Gorizia dove vive, le spese mediche...».
In tutto quanto spende?
«Più dimille euro almese. Ma sa cosa mi disturba, della sentenza?».
Cosa?
«Che io avevo chiesto ai giudici di “ancorare” questi pagamenti a unmi- nimo rendimento scolastico: quattro esami a semestre e l’inizio della tesi entro la fine del 2018. Invece niente: fino al giugno del 2019, quando scadrà il mio obbligo di foraggiarla, mia figlia vivrà in questo limbo dove in pratica riceverà uno stipendio per non far nulla».
Lamamma di Carlotta, la sua ex moglie, che dice?
«Vive a Lione, negli ultimi dieci anni ha visto le nostre due figlie tre o quattro volte. Ora però si è costituita parte civile, al fianco di Carlotta e contro di me».
«E ora non ho i soldi per far studiare sua sorella»
Ricorrerà in Cassazione?
«No, perché non ho perso io, sta perdendomia figlia: se continua con questa flemma, nel 2019 avrà 28 anni, zero lauree, zero entrate e nemmeno un’esperienza lavorativa nel curriculum. Come farà ad affrontare il mercato del lavoro? Apensarci bene, in questa storia ci sono altre due vittime».
Quali?
«La prima è l’idea che un papà debba educare i propri figli e, se necessario, infliggere qualche castigo. Ora io sono solo un bancomat. Forse dovrei andare in giro con il “pin” scritto in fronte».
E la seconda vittima?
«L’altramia figlia. Vuole fare Psicologia a Firenze, ma io non posso mantenerla: dovrà studiare e integrare con qualche lavoretto. In pratica, la Corte d’Appello di Triestemi forza a trattare peggio, dal punto di vista economico, la ragazza che per ora merita di più».
La sentenza è dello scorso maggio: nel frattempo, Carlotta ha dato qualche esame?
«Non posso più controllare la sua “evoluzione”. L’ultima volta che ci siamo visti, in ospedale e in una circostanza molto delicata, le ho chiesto a che punto fosse e leimi ha risposto: “Con te non parlo, vai a cuccia”. È piena di rabbia».
In aula, l’ha accusata di averla “segregata” per mesi in un sottoscala pieno di muffa.
«Venga: glielo mostro, il sottoscala». Cecchini ci trascina in una taverna di 80 metri quadrati arredata con gusto e divisa in salottino tv, stanza da letto e bagno. Un finestrone inquadra un giardino con orto e frutteto.
L’ha accusata anche di fare la bella vita.
«Come se fosse un crimine! Noi genitori, ormai, non possiamo permetterci di avere dei desideri: esistiamo solo
2.214.000 sono i Neet in Italia, i giovani, cioè, che non studiano né lavorano. 24,3% Sono Neet quasi un quarto dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni: nessuno, in Europa, è messo peggio di noi. 14,2% Lamedia europea è infatti di 10 punti più bassa (in Olanda, il Paese più virtuoso, i Neet sono solo il 6,3 per cento) 1,5 miliardi di euro: la cifra stanziata dalla Ue per dare una prospettiva di lavoro o di formazione ai Neet italiani
come finanziatori dei nostri “bimbi”. Nel ricorso, mi ha rimproverato di aver fatto un giro in camper con la mia compagna e l’altra figlia. Sgobbo da 35 anni, all’età di Carlotta lavoravo per la BancaMondiale in Etiopia: avrò diritto anch’io a un po’ di svago o no?».
Perché ha reso pubblica la sua vicenda?
«Perché voglio che sia spiegata nella maniera più corretta. E perché spero di servire da esempio e da limite: sono solo uno dei tantissimi genitori “spolpati” da figli che non fanno nulla. Purtroppo abbiamo dato loro una vita troppo soffice: hanno perso il contatto con la realtà, vedono il lavoro come un veleno».
Non teme di mettere alla gogna sua figlia? Sui social, è diventata l’archetipo della fannullona.
«Non ho Facebook e mi spiace che le diano addosso. Ognuno, però, è responsabile delle proprie azioni».
Se nel giugno del 2019 dovesse trovare un terzo giudice che, come già il primo, stabilirà che «il percorso formativo di Carlotta merita ancora tempo», come reagirà?
«Mi metterò a ridere. E pagherò…».