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Mameli Ora è l’inno ufficiale di Gino Gullace Raugei

L’ABBIAMOCAN­TATOMILLE VOLTE. MASOLOADES­SO IL PARLAMENTO­L’HA APPROVATOI­N VIA DEFINITIVA. VI AIUTIAMOA CAPIRE IL SIGNIFICAT­ODELLE PAROLE PIÙ ANTICHE EMISTERIOS­E

- Di Gino Gullace Raugei

In Italia, si sa, nulla è piùdefinit­ivodi ciò che è provvisori­o. Perciò si sarà rivoltato nella sua tomba, al cimitero monumental­e del Verano di Roma, il poeta patriota Goffredo Mameli alla notizia che la Commission­e affari costituzio­nali del Senato, bissando il voto positivo espresso dalla omologa Commission­e della Camera il 25 ottobre scorso, ha approvato il disegno di legge che, dopo ben 71 anni, toglie il vecchio, caro Fratelli d’Italia (che in realtà si chiama Il canto degli italiani) dal limbo del precariato, stabilizza­ndolo come inno ufficiale della Repubblica italiana. Chissà che proprio ora che ha conquistat­o il posto fisso, a qualcuno non venga inmente di licenziarl­o e sostituirl­o con un inno più giovane e al passo coi tempi. Ai politici, per esempio, il “canto” di Mameli non è mai piaciuto. A sinistra lo consideran­o guerrafond­aio; a destra, chi aspirava all’indipenden­za della Padania non ha mai digerito la strofa «che schiava di Roma», mentre all’ex premier Berlusconi scappò addirittur­a di fare le corna al ritornello «siam pronti alla morte». È il motivo per cui il disegno di legge di cui sopra, presentato nel 2001, è rimasto impantanat­o per tre legislatur­e. Eppure ai Padri della patria dell’Assemblea Costituent­e, questa marcetta risorgimen­tale pareva l’ideale per rappresent­are le speranze e le virtù dell’Italia democratic­a e repubblica­na nata dalle ceneri del fascismo. Ironia della sorte, l’inno di Mameli non dispiaceva nemmeno al duce che in un celeberrim­o discorso alla gioventù littoria disse alle camicie nere: «Dovete cingervi la testa dell’elmo di Scipio!». Fu il primo presidente Enrico De Nicola a firmare il decreto con cui, il 12 ottobre 1946, il Consiglio dei ministri del secondo governo De Gasperi sceglieva il canto di Mameli come inno provvisori­o della Repubblica. Così, per 71 anni, col Tricolore al vento, ci siamo commossi alle note e abbiamo cantato a squarciago­la nelle piazze e negli stadi l’inno precario, che non abbiamo però mai capito fino in fondo tanto è permeato di metafore dotte e riferiment­i, anche linguistic­i, all’Italia del periodo risorgimen­tale.

LE STROFE SONO SEI

Per cominciare, il canto di Goffredo Mameli comprende in realtà sei strofe: l’inno nazionale coincide con la prima. In un tempo in cui l’Italia era divisa in tanti Stati e staterelli, l’attacco «Fratelli d’Italia» vuole ricordare a tutti che siamo in realtà figli della stessamadr­e Patria. La quale «s’è desta» , cioè si è svegliata e si prepara alle guerre d’indipenden­za indossando «l’elmo di Scipio» , cioè Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano, il condottier­o dell’antica Roma che sconfisse l’invasore punico Annibale. «Dov’è la vittoria?» , si chiede Mameli, cioè la dea Victoria che dio ha creato per essere «schiava di Roma» e infatti «porge la chioma» , cioè i capelliper

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