Oggi

te, Catherine iostoconvo­i» Dunne di La C. scrittrice Bianchi che di Lavinia ispirò Capritti Veronica Lario

L’ EX SIGNORA BER LUSCO NIFE CE RIFERIMENT­O A LEI CHIEDENDO AL MARITO PUBBLICHE SCUSE. DA ALLORA, L’ AUTRICE IRLANDESE HA COLLEZIONA­TO SUCCESSI .« AMO TROVARE L’AUTENTICIT­À DENTRO PERSONAGGI COMPLESSI», DICE. ECI PARLADEI SUOI ERRORI

- Di Lavinia Capritti

Catherine Dunne, 13 libri pubblicati in Italia - l’ultimo appena uscito è Come cade la luce (Guanda) - è amatissima per la sua capacità di indagare nell’animo femminile. In Italia, poi, è legata a filo doppio al suo primo libro La metà di niente, citato anche daVeronica Lario nella celebre lettera a la Repubblica, dove l’ex signora Berlusconi chiedeva al marito Silvio pubbliche scuse, domandando­si se anche lei dovesse ritenersi «la metà di niente». Perché i suoi romanzi sono così amati dalle donne? «Amo la prosa chiara e ordinata. Amo i personaggi sfaccettat­i e complessi, fatti di oscurità e luce. E, soprattutt­o, amo trovare l’autenticit­à. E le storie delle donne sono il cuore pulsante di tutto ciò che scrivo, perchémolt­e delle nostre storie sono rimaste inascoltat­e». Per lei scrivere è...? «È come mi relaziono con il mondo. È così che scopro che cosa penso, in che cosa credo, che cosa provo. Se sono lontana dallo scrivere per troppo tempo, divento irrequieta». Cosa dice alle donne che credono nell’Amore con la A maiuscola? «L’amore romantico è adorabile: e ha un suo ruolo. Ma credere nella perfezione romantica perenne è una cecità». Ha sempre scavato nella psicologia femminile, quali sono i suoi consigli? Perché noi donne siamo così complicate? «Non do mai consigli! Ho commesso i miei più grandi errori quandomi sono rifiutata di ascoltare le mie intuizioni. Quando mi sono permessa di credere, controme stessa, che qualcun altro sapesse meglio di me quello che volevo o di cui avevo bisogno». Una volta ha detto «Ho accettato i miei limiti». A noi sembra che lei non ne abbia... «Questo mi fa ridere! Ho un sacco di limiti, ma cerco di concentrar­mi su ciò che posso fare, senza sprecare energie con le cose per cui non posso fare niente. Di recente ho sentito qualcuno dire che la regola per la felicità è non confrontar­si con gli altri. Penso che sia utile. Spesso siamo consumati da ciò che gli altri hanno, fanno o raggiungon­o, generando così un senso di fallimento in noi stessi. Resta concentrat­a. Resta positiva. Resta coi piedi per terra. Consiglio questo a me stessa». Ha parlato dell’importanza della risata, ma i suoi romanzi non sono commedie. Non è una contraddiz­ione? «La vita è vita. La finzione è finzione:

un mondo che creo, un mondo di immaginazi­one. Non mi sento in dovere di scrivere commedie, forse un giorno lo farò. Nel frattempo, ho bisogno dell’umorismo, a volte nero, per aiutarmi a superare le sfide che incontro ogni mattina e gli eventimond­iali fuori dal mio controllo». Ha invitato tutti a essere gentili. È molto difficile, potrebbe dirci la sua strategia? «Certo, è difficile: è stata una riflession­e su ciò che avevo imparato in anni di perdita e dolore ( laDunne ha perso un figlio, ndr). Sono stata aiutata dalla gentilezza di altre persone nei miei confronti, il che mi ha fatto riflettere su quanto siano importanti i gesti di pura gentilezza». Ha definito i libri “divoratori di dolore”: è una bella definizion­e. «La definizion­e deriva dalla lingua urdu. L’ho incontrata mentre stavo studiando come le diverse comunità affrontano lamorte e la perdita. Nella tradizione urdu, significa che nessuno si addolora da solo. Famiglia, amici, conoscenti, consiglier­i religiosi, si riuniscono tutti per “mangiare”, nel senso di consumare e condivider­e il peso della perdita che provano i familiari del defunto. I libri possono anche essere i nostri “mangiatori di dolore”». Ha rituali quando scrive? «Ho un debole per le candele profumate. Le accendo intorno a me quando lavoro. E, naturalmen­te, essendo irlandese, non mi siedo mai alla mia scrivania senza una tazza di tè».

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Catherine Dunne, 63 anni, irlandese. Dice: «Il segreto per essere felici? Non fare confronti»
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