EDITORIALE
NON RIESCO A INDIGNARMI PER IL “FURTO DI DATI PERSONALI” CHE HA MESSO NEI GUAI ZUCKERBERG
Va bene, lo devo confessare: io non sono tra coloro che si scandalizzano per lo scandalo Facebook. O meglio: sono ovviamente indignato, come tutti credo, per le violazioni di legge, l’inganno agli utenti, le bugie, gli imbarazzi e pure per l’indecente ricchezza accumulata dal signor Mark Zuckerberg, il cui unico merito, ai miei occhi, è di aver avuto una buona idea quando stava all’università. Esagero? Forse. Sarà l’invidia, perché comunque le buone idee non piovono dal cielo. Ma, detto questo, non riesco a solidarizzare più di tanto con gli 87 milioni di persone i cui dati sono stati allegramente usati per influenzarne le scelte elettorali e le abitudini di consumo. E cerco di spiegare perché.
Facebook è un social network, cioè una rete sociale alla quale si accede liberamente e gratuitamente. È come un luogo d’incontro, un locale in cui puoi entrare senza dover necessariamente consumare (non come Starbucks in America, dunque…) e dove magari conosci nuovi amici o ritrovi gente che avevi perso di vista. Ci vai dentro, dici chi sei, ed è fatta. Però puoi anche rivelare come la pensi su alcune cose, che cosa stai facendo in un determinato momento, dove sei fisicamente, e con chi, per quale squadra fai il tifo, che progetti hai, e così via. Qui cominciano i guai. Perché sei tu, consapevolmente e deliberatamente, a metterti in piazza: non è quel marpione di Zuckerberg a torturarti per farti “cantare”, sei tu stesso che scegli di condividere pezzi anche importanti della tua vita con gli “amici” di Facebook. I quali spesso sono in realtà dei perfetti sconosciuti ai quali hai aperto le porte di casa tua. O no?
Ci sono anch’io, su Facebook. Anzi, c’è il mio Avatar. All’inizio, anni fa, incuriosito come tanti, sono entrato nel locale. Con prudenza, ho dato solo il nome e il numero di matricola, come i prigionieri di guerra. Non ho svelato il mio stato civile, le mie preferenze, i miei hobby, niente. Hanno cominciato a piovere richieste di amicizia, e per un po’ ho detto sì più o meno a chiunque, tanto bastava un clic. A questo punto gli “amici” hanno iniziato a mandare messaggi, inviti, commenti, foto, richieste di vario genere: provavo a rispondere, ma stava diventando un lavoro. Arrivato a 1.981 “amici”, ho smesso. Sono andato a controllare poco fa, dopo mesi: ci sarebbero 852 richieste di amicizia in sospeso. Ne approfitto per chiedere scusa a tutti: non lo faccio per cattiveria, ma proprio non fa per me.
Certo, direte voi, per te è facile. Vero. Faccio il direttore di un giornale, ho questo spazio settimanale, oltre alla pagina della Posta, per esprimere le mie opinioni o raccontare cose di me, come sto facendo in questo esatto momento. Sono un privilegiato, e capisco che invece tante persone hanno trovato in Facebook uno strumento eccezionale per aprirsi al mondo, scoprire cose nuove, ricevere notizie, dialogare, condividere foto ed esperienze. Miamamma, per esempio, che non è più giovanissima, è diventata una specie di Facebook-addicted, e mi famolto piacere. Ma se un giorno scoprissi che lei, o io stesso, siamo stati “derubati” dei nostri dati personali per esempio per scopi pubblicitari, non me la prenderei con i “ladri”. Sarei stato io ad aver aperto loro la porta di casa.
Ora sono in arrivo, a livello europeo, norme più stringenti sulla privacy (articolo a pag. 19), e Zuckerberg stesso, dopo aver ipocritamente chiesto scusa, ha promesso dimettere mano alla sua creatura affinché non si ripeta uno scandalo come quello che l’ha quasi travolto. Ma voi ci credete? Se sì, siete pronti per il premio «Boccalone dell’anno». Perché, signori miei, la privacy non c’è più, la tecnologia l’ha uccisa. Quindi a mio avviso i casi sono soltanto due. O non avete nulla da nascondere, e allora della privacy, di Facebook, diCambridge Analytica e affini potete fregarvene altamente (al massimo, se amate i cani, vi arriverà sul video la pubblicità delle crocchette). Oppure avete qualcosa da nascondere: in questo caso, date retta a me, lasciate perdere Facebook. E godetevi la solitudine.