Giallo di Marcheno La verità va cercata in banca
LA PROCURA GENERALE DI BRESCIA PRENDE IN PUGNO L’INCHIESTA. ACCANTONA L’IPOTESI CHE L’ IMPRENDITORE SI ASTATO GETTATO NEL FORNO. E PUNTA SUI MOVIMENTI DI DENARO
Due anni e mezzo di lavoro, tante ipotesi suggestive, ma risultati zero. O quasi. Sulla scomparsa di Mario Bozzoli, che il 5 ottobre del 2015 si era come volatilizzato all’interno della sua fonderia di Marcheno ( Brescia) è tutto da rifare. E lo stesso discorso vale anche per la morte Giuseppe Ghirardini, uno degli operai presenti in fabbrica la sera della scomparsa, trovato a dieci giorni di distanza, sulla riva di un torrente in Valcamonica, avvelenato da due capsule di cianuro. A dare il segnale di svolta su uno dei più impenetrabili misteri degli ultimi anni è stato Pier Luigi Maria Dell’Osso, Procuratore generale di Brescia. Con una mossa a sorpresa il magistrato ha avocato al suo ufficio l’inchiesta e l’ha tolta di fatto ai colleghi della Procura. Per quanto si è potuto intuire è come se le indagini ripartissero da zero. La Procura generale convalida la pista familiare e lavora sulla frattura in atto tra Mario Bozzoli e i figli di suo fratello Adelio, Alex e Giacomo. I due nipoti rimangono quindi indagati così come i due operai Oscar Maggi e Aboagye Akwasi, presenti in fabbrica la sera della scomparsa. Ma l’ipotesi della prima ora secondo cui gli assassini avrebbero gettato Mario Bozzoli in uno dei forni della fonderia per cancellare di lui ogni traccia, ha perso quota. Vengono privilegiati altri elementi, tra cui la posizione delle telecamere all’interno dell’azienda. Nei giorni precedenti alla scomparsa, qualcuno - ma non si sa ancora chi - le avevamanomesse. Le aveva orientate in un modo diverso, lasciando scoperte ampie porzioni dei capannoni e del cortile. Nelle zone dove le telecamere non potevano più arrivare potrebbe essere successo di tutto. Mario Bozzoli poteva essere ucciso e il suo cadavere poteva essere portato via da qualsiasi mezzo, senza lasciare laminima traccia video. È risaputo per esempio che nelle ore successive alla scomparsa, quando la moglie dell’imprenditore aveva già dato l’allarme e l’azienda era presidiata dai Carabinieri, dalla fonderia sono usciti due camion, carichi di ottone in lingotti e scarti di fusione. Perché all’epoca nessuno
ha pensato di controllarli a fondo? E perché sempre quella sera, il Suv di Giacomo Bozzoli è entrato e uscito dalla ditta in orari coerenti con la sparizione di Mario? Dare risposte a oltre due anni di distanza è difficile e infatti gli inquirenti vanno a cercare il bandolo della matassa là dove ancora è possibile trovarlo. L’attività investigativa da qualche settimana si concentra sul conflitto tra Mario Bozzoli e i nipoti sulla gestione dell’azienda. La prima a parlarne ai Carabinieri era stata la moglie diMario il giorno dopo la scomparsa del coniuge. In seconda battuta era arrivata anche la dichiarazione di Jessica, fidanzata di Giacomo Bozzoli fino al 2011. Sentita di nuovo la settimana scorsa nel corso di un incidente probatorio, la ragazza ha ribadito che Giacomo odiava lo zio e diceva di volerlo eliminare, attraverso un delitto perfetto. Prima di tornare sulla scena del crimine la Procura generale vuole però chiarire il retroscena. E punta sulla Ifib, la fonderia che Adelio Bozzoli ha realizzato a Bedizzole nell’autunno del 2015, all’epoca della scomparsa del fratello Mario. Settimana scorsa Carabinieri e Guardia di Finanza hanno varcato i cancelli della nuova ditta e hanno cominciato a rovistare tra bilanci, contabilità, fatture, attività finanziarie per accertaremovimenti dimerci e denaro ed evidenziare la possibile fonte del conflitto familiare. Nei prossimi giorni l’anatomopatologa Cristina Cattaneo dovrebbe concludere la sua perizia su decine di tonnellate di scorie di fonderia, passate al setaccio alla ricerca di una traccia riconducibile a Mario Bozzoli. Èun filone da cui gli inquirenti non si aspettano rivelazioni sconvolgenti. La verità sul giallo di Marcheno, dicono, è altrove.