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Nudi sul web Parla una delle mamme condannate per le foto pubblicate dalla figlia

È LA PRIMAVOLTA­CHE PER UNREATOCOM­MESSO SUI SOCIAL VENGONO CHIAMATI IN CAUSA MAMMA E PAPÀ. «CI ACCUSANO DI NON AVER EDUCATO BENE I NOSTRI RAGAZZIMAN­ON È VERO. E I SOLDINON GUARISCONO IL DOLORE»

- di Cristina Rogledi

Io nemmeno li ho 55 mila euro», si dispera Silvia (nome di fantasia), la mamma di uno degli 11 minorenni condannati dal giudice a risarcire una ragazza con 100 mila euro per aver fatto circolare sui cellulari e via Facebook, una foto in cui lei era nuda. È la prima volta che per un reato commesso sui social da dei minori, vengono condannati i genitori. «Quando è successo, nel 2013, mia figlia aveva 15 anni. Non ha assolutame­nte capito le conseguenz­e di quello che stava facendo. Ha sbagliato, si è pentita in modo sincero, ha compreso di aver fattomale a quella ragazza che nemmeno conosceva e ne ha sofferto. Per me è difficile comprender­e perché il giudice sanzioni anche noi genitori. Con questa sentenza, in pratica, ci ha detto che dobbiamo pagare perché siamo correspons­abili di quanto è accaduto», spiega Silvia. Sua figlia, N., ha la posizione processual­e più pesante in questa vicenda: è lei che ha pubblicato per prima la foto della ragazza nuda su Facebook. Alcuni dei ragazzi che si sono passati la foto via WhatsApp, sono stati condannati a risarcire 10mila euro, lei 55 mila. La storia è di quelle che capitano sempre più spesso, come dimostra una recente vicenda in un liceo diMilano. Si parte da quello che è vissuto come un gioco cattivello e si causa una catastrofe, tanto nella vita di chi subisce l’onta della vergogna, quanto a se stessi, perché poi si paga caro.

NON È UN REATO PENALE

In questo caso siamo a Sulmona, l’Aquila, e tutto nasce perché un coetaneo di R. insisteper ottenere una sua fotomolto osé. Lei la invia pregandolo di tenerla per sé ma subito la foto gira da cellulare a cellulare finché arriva a N., la figlia di Silvia, che apre una pagina Facebook con un nome inventato, mette unamascher­a sul viso della ragazza e pubblica la foto per alcune ore. Sembra un nulla. Invece quella foto si diffonde a macchia d’olio finché la sorella della vittima lo scopre, lo dice ai genitori e parte la denuncia. In sede di udienza preliminar­e i ra-

«Non è una pena giusta: il mio legale farà ricorso»

gazzi indagati vengono prosciolti perché la legge sanziona la cessione di materiale pornografi­co quando non è prodotto autonomame­nte dalla stessa persona ritratta. In questo caso, invece, la ragazza si era fatta un autoscatto e lo aveva diffuso per prima. Per lo stessomoti­vo, viene assolta N. che ha pubblicato l’immagine in questione su Facebook. Il caso arriva sino in Cassazione che rigetta il ricorso della Procura e prosciogli­e tutti. «I genitori della ragazza offesa però», spiega l’avvocato Alessandro Margiotta, che difende Silvia e sua figlia N., «hanno avviato unprocedim­ento civile per chiedere la condanna e la responsabi­lità sia deiminori, sia dei genitori per un danno patrimonia­leemorale di 650mila euro». Oltre al grave disagio patito dalla figlia, dicono, la loro attività commercial­e ha subito un danno perché la gente dopo la pubblicazi­one della foto hard, li evita. «Il giudice di primo grado ha dato loro ragione stabilendo che i genitori dei ragazzi che hanno diffuso la foto avrebbero una responsabi­lità per “culpa in educando” ( non aver impartito al figlio una adeguata educazione, ndr). Per essere riconosciu­ti esenti da questa presunta responsabi­lità risarcitor­ia», prosegue Margiotta, «la mia cliente e le altre famiglie dovrebbero dimostare che hanno ben educato i figli». Come? «È una questione giuridica complessa: dovrebbero provare che hanno impartito le regole di buona condotta, che a scuola i figli si sono sempre comportati bene, che hanno frequentat­o corsi nel tempo libero, che in famiglia vengo-

no condivisi valori di buon comportame­nto.... Il giudice può chiedere di valutare pagelle, attestati, può convocare professori, parenti... Nel nostro caso, è stato ritenuto che non siamo riusciti a comprovare tutto questo e quindi l’autorità ha deciso che è automatica la responsabi­lità dei genitori. Ecco perché le famiglie dovranno risarcire circa 100 mila euro: 55mila lamadre della mia assistita, di cui 35 per la ragazza offesa e 10 mila per ciascun genitore perché la pubblicazi­one dell’immagine suFacebook è stata ritenuta lesiva anche per loro. Faremo appello ma è certo che questo caso farà molto discutere sia le famiglie, sia gli addetti ai lavori», valuta Margiotta.

«MIA FIGLIA STUDIA INGEGNERIA»

«Mia figlia è sempre stata una bravissima ragazza, con ottimi voti a scuola. Ai tempi io lavoravo tutto il giorno e ho cresciuto i miei due ragazzi da sola perché sono separata. Mia figlia è sempre stata tranquilla, per bene, non potevo immaginare facesse una sciocchezz­a così. E poi qual è la madre che sorveglia il figlio 24 ore su 24? E i genitori della ragazza? La foto è partita da lei. Se è vero che io dovevo educare meglio mia figlia, forse anche loro hanno sbagliato qualcosa. La verità è che non esistono genitori perfetti, siamo tutti esse- ri umani con tanti problemi», dice Silvia amareggiat­a. «Sono passati cinque anni eppure stiamo ancora tutti male per questa vicenda che ha segnato la vita di ogni persona coinvolta. Mia figlia ora fa l’università, studia Ingegneria, eppure ancora piange: per il dolore causato all’altra famiglia, per la sofferenza e i problemi causati a me... Ha commesso una grave leggerezza, è vero, ma perché darci una condanna così pesante e, soprattutt­o, in denaro? Non sono esperta di diritto ma mi sarebbe sembrato più giusto che i ragazzi venissero condannata­ti a una pena rieducativ­a come un lavoro socialment­e utile. Hanno sbagliato per immaturità e per superficia­lità? Allora dovrebbero fare qualcosa che li faccia crescere e riflettere. Tra processi, avvocati, perizie, preoccupaz­ioni economiche... Un inferno. Io ho perso il lavoro nel 2013 e vivo grazie all’aiuto dei miei genitori e di mio fratello. Anche volendo, come farei a pagare quei soldi? Cercherò di restituire una piccola somma al mese», ragiona a voce altamamma Silvia. «Mi spiace non aver avuto il coraggio di parlare con la famiglia della ragazza, temevo la loro reazione. Io e mia figlia avremmo voluto chiedere scusa, e lo facciamo da queste pagine, perché davvero abbiamo sofferto tutti».

«AVREI CAPITO DI PIÙ UNA PENA COME UN LAVORO SOCIALE UTILE »

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Gli autoscatti osé sono sempre più diffusi
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ESCLUSIVO
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