GIORGIO DELL’ARTI
Che cosa ci dicono il caso del prete di Spinea e quello dello sconosciuto che s’è portato a casa 130 milioni col Superenalotto? Ci dicono due cose opposte. Che il gioco ti rovina, che il gioco ti fa ricco.
Chi ha ragione? Cominciamo dal prete di Spinea. Siamo dalle parti di Mestre, parrocchia di San Vito e Modesto. Un giorno di due anni fa don Flavio Gobbo sparisce. Ai fedeli sbigottiti lascia una lettera. Dice, più o meno: sono stanco, ho bisogno di riposo. La settimana scorsa, però, i parrocchiani leggono sui giornali la conclusione della vicenda: don Gobbo non è andato a riposarsi, è andato in clinica a disintossicarsi da un male che si chiama ludopatia, dove la parola «ludo», di origine greca, significa «gioco». Il sacerdote, che aveva cominciato quasi per scherzo, prendeva i soldi dalle casse della parrocchia e andava al casinò a puntarli sulla roulette. Pensava: vinco, e restituisco. Non era possibile. Alla fine era sparito mezzo milione. La diocesi l’ha fatto curare, i magistrati si sono accontentati di una condanna a due anni, imponendo però il ricovero. Il prete, che secondo la diocesi non avrebbe mai perso la vocazione e la fede, ha accettato. Che cosa ci insegna questa storia? Che a giocare si perde. Abbiamo casi classici, con nomi famosi: Dostoevskij, Tommaso Landolfi, Vittorio De Sica. Da ultimo, Emilio Fede. Non s’èmai arricchito nessuno.
Però c’è il tizio che ha vinto al Superenalotto. Sì. Una schedina di due colonne, 21 euro. Una ricevitoria di Caltanissetta. Ha indovinato sei estratti (12, 23, 39, 54, 72, 73), s’è portato a casa 130milioni, la quinta vincita più alta di sempre. Per ora, non si sa chi sia. L’esistenza di uno che si è fatto ricco al gioco, non dimostra niente.
Perché? Le probabilità di azzeccare il 6 è di una su 622 milioni. Dal gioco lo Stato ricava ogni anno 96 miliardi. Più di sei punti di Pil. Alla roulette le probabilità di vincere sono una su 37. Alla lunga, non hai speranza.
Quanti sono i malati come don Gobbo? Duemilioni e mezzo, si dice. È un problema.