EDITORIALE
L’ ORIGINE CURIOSA DI UN TERMINE MOLTO USATO. E QUALCHE RIFLESSIONE SULLE« FAKE NEWS»
Non si finisce mai di imparare. Io, per esempio, per tutta la vita ho usato il termine «lapalissiano» senza mai interrogarmi realmente sulla sua origine. Non c’è bisogno di presentarsi come concorrenti a un quiz televisivo per conoscerne il significato: vuol dire semplice, lampante, ovvio, auto-evidente. Come le famose, e assai ciniche, frasi di Catalano a Quelli della notte («È molto meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute, piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri e malati»). Bene. Sapevo che quel termine veniva da uncerto Monsieur De La Palisse, ed ero convinto che questo signore fosse una specie di versione arcaica, per l’appunto, del personaggio scovato da Renzo Arbore. Chissà, forse era un cortigiano che per non irritare il suo Re diceva solo banalità, o magari era un salottiero privo di inventiva, o ancora un grande saggio che parlava per enigmi, diceva cose scontate tipo «prima vengono la primavera e l’estate, poi abbiamo l’autunno e l’inverno, ma poi tornano la primavera e l’estate», come Peter Sellers/Chance Giardiniere in Oltre il giardino.
Einvece no. Prima di tutto il nostro uomo si chiamava De La Palice (non Palisse), ed era un grande condottiero francese del Cinquecento. Tempo fa, sulla Stampa di Torino, Alberto Mattioli ha spiegato come ha avuto origine l’aggettivo «lapalissiano». È una storia meravigliosa, fra il tragico e il ridicolo, eccola. Ucciso in battaglia, i suoi uomini dedicarono a La Palice un epitaffio ovviamente in francese: « S’il n’était pas mort, il ferait encoreenvie », che tradotto significa « Se non fosse morto, farebbe ancora invidia ». ScriveMattioli: «Disgraziatamente all’epoca la “effe” si scriveva come la “esse”, quindi “ferait” fu letto “serait”, sarebbe; ed “envie”, invidia, fu spezzata diventando “en vie”, in vita». E l’epitaffio passò alla storia così: « Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita ». Eh già: per forza che poi il nome di La Palice è diventato sinonimo di «bella scoperta!».
Èuna storia curiosa, niente di che, sembra quasi una barzelletta. E tuttavia può dare luogo ad alcune riflessioni. Siamo sicuri, per esempio, che ciò che appare «lapalissiano» sia sempre anche vero? Quante delle nostre convinzioni sono basate su pregiudizi invece che sui fatti? Non dovremmo più spesso mettere in dubbio le “verità” che consideriamo tali solo perché coincidono con le nostre opinioni? Pensateci: le cronache sono piene di “notizie certe” che vengono smontate a uno sguardo appena un po’ più approfondito. Mi riferisco per esempio alle famose “bufale” internettiane (o « Fake news », notizie false) di cui in questo periodo si parla tanto, poiché sulla Rete gira di tutto ed è sempre più difficile distinguere il vero dal falso.
C’è chi ha sostenuto che la foto dei bambini annegati in Libia giorni fa fosse artefatta, e che il corpicino in braccio ai soccorritori fosse in realtà un bambolotto. Chi ha spacciato per un porto libico gremito di profughi una foto di un vecchio concerto dei Pink Floyd a Venezia. Chi ha scritto sui social che un musulmano di nome Tarim-Bu-Aziz vuole introdurre i numeri arabi nelle scuole italiane (già, peccato che i nostri numeri, quelli che usiamo tutti i giorni, siano già «numeri arabi»). Ma ciò che colpisce non è tanto che esista chi fabbrica bufale (è un genere in cui si esercitano fior di professionisti), quanto che in tantissimi caschino in pieno nella trappola. E condividono, mettono dei like, ritwittano, commentano soddisfatti o indignati… Attenzione, non per ingenuità o ignoranza, non solo perlomeno. In tanti credono alle bufale perché le bufale coincidono con ciò che essi vogliono sentirsi raccontare. E perché verificare è faticoso, difficile, occorre avere gli strumenti giusti. E sai che delusione se, una volta verificato, si scopre che avevano ragione “gli altri”. Meglio chiudere occhi e orecchie e sentirsi rassicurati nelle proprie, legttime per carità, opinioni. In fondo basta dire che «è lapalissiano».
Per chi, come me, fa il mestiere di giornalista è praticamente obbligatorio mettere sempre in dubbio tutto, proprio per non divulgare fake news. Ma non sarebbemale se imparassimo a farlo, tutti noi, anche nella vita quotidiana. Lo so, è più semplice stare accoccolati, al caldo dei nostri pregiudizi. Ma potrebbe essere molto più gratificante.