Thailandia Così i “cinghialotti” sono sopravvissuti alla grotta e alla paura di F. Battistini
SI È CONCLUSA BENE L’ AVVENTURA DEI PICCOLI CALCIATORI THAI CHE HA TENUTO CONI L FIATO SOSPESO IL MONDO. GRAZIE ALL’ABILITÀDEI SUB CHE LI HANNO SOCCORSI MA ANCHE AL SANGUE FREDDODIAEK, IL COACH CHE IN QUELL’ INFERNO BUIO LI AVEVA PORTATI
C «Mae Lai, Thailandia, luglio ontemplate il vostro respiro. Guardate la vostra mente». L’unico modo, ha intuito a un certo punto il coach, era dare loro un compito: «Pensate alla pace che invade il vostro volto. L’amore vi sta attraversando». La prima sera nella grotta di Tham Luang è stata la più difficile, perché i dodici ragazzi sapevano che fuori era già buio e che sarebbe stata lunga: qualcuno piangeva e il minuscolo Titan, 11 anni, il cucciolo di tutti, faticava ad addormentarsi. Allora Ekapol Chanthanong, 25 anni, Aek per chiunque, l’allenatore della squadra dei Cinghialotti ( Wild boars), ha pensato che la sola via fosse insegnare ai suoi piccoli calciatori quel che aveva imparato lui stesso da bambino, nellemeditazioni coi monaci buddisti. Come porre fine alla sofferenza. Come dimenticare la paura. Forza ragazzi, risparmiate le forze e state immobili il più possibile: i suoi si sono asciugati le lacrime e in quel silenzio terrificante, in quel buio totale che non faceva vedere nemmeno la faccia vicina, nel gocciolio delle grotte l’hanno ascoltato. Aek è sempre stato il punto di riferimento di tutti e
non importava che li avesse portati lui in quel guaio, quattro chilometri dentro la grotta allagata dai primi monsoni. Ora bisognava solo dargli retta. Dom, 14 anni, il capitano, il più bravo a palleggiare fino a trecento volte di seguito, ha fatto l’adulto: trasmettendo calma, assieme al suo mister. «Quando li abbiamo trovati dopo undici giorni», racconta un soccorritore inglese, ancora stupefatto, «ci sorridevano e ci ringraziavano con un inchino. Come se ci avessero sempre aspettato». I sopravvissuti della Thailandia - i dodici ragazzini e il loro allenatore rimasti sottoterra quasi tre settimane, ritrovati vivi quando tutti li davano per morti, salvati da un team di novanta sommozzatori con un’impressionante operazione di recupero che ha coinvolto duemila soldati, ingegneri, speleologi, volontari giunti da tutto il mondo – i piccoli calciatori ce l’hanno fatta perché non hanno mai pensato di non farcela. E là dentro si sono dati regole ferree, come fossero stati in un ritiro sportivo, a prepararsi per una partita. Prima cosa, non disidratarsi: la piog-
gia colava lungo le pareti e quindi moltomeglio leccare quella sulla roccia, anziché bere l’acqua stagnante. Che cosa mangiare? Lo sciagurato 23 giugno, s’era scesi là sotto per festeggiare i 17 anni di Night, l’ala sinistra della squadra, e per fortuna dagli zainetti era rimasto qualche snack: l’allenatore ha rinunciato alla sua parte, divorato dai sensi di colpa, smagrendosi fino a svenire, e per tre giorni i ragazzini sono riusciti a dividersi le loro merendine. Poi però, quando la scorta è finita, il problema del nutrirsi è rimasto: Aek s’è arrangiato con qualche insetto, imitato dai più grandi, ma niente altro. Digiuno totale. Nei cunicoli di Tham Luang vive il più piccolo pipistrello del mondo, i contadini di qui un tempo li arrostivano, ma il pensiero è solo sfrecciato nella mente dell’allenatore. E nessuno se l’è sentita di provare a mangiarne uno.
TIFOSI E SEMPRE ATTIVI A PATTAYA BEACH
Altro imperativo, tenere la mente impegnata. Parlando delle famiglie. Pensando a che cosa si sarebbe voluto dir loro, da scrivere poi in foglietti consegnati ai sommozzatori. Magliette del Chelsea e della nazionale inglese, nelle lunghe ore seduti sull’unico scoglio asciutto rimasto oltre la cavità di Pattaya Beach, il tempo è passato immaginando anche le partite dei Mondiali. Discutendo. «Cos’ha fatto il Brasile?», chiederà Pong, 13 anni, al primo dei soccorritori. E poi l’eterno dilemma: più forte Messi o Ronaldo? (senza sapere che, là fuori, sia Messi che Ronaldo stavano facendo il tifo per loro, i Wild Boars, e gridavano « stay strong! », tenete duro). Nessuno spazio alle paure: la stagione dei monsoni stava cominciando, inutile far finta di non saperlo, ma Aek ha passato i giorni a spiegare che se l’acqua non era più salita lì dentro, significava che fuori non stava pio-
vendo ancora. Un problema, infine, il tono muscolare: l’indebolimento è arrivato molto presto, dirà un medico dell’ospedale di Changrai dopo aver visitato i bambini. Anche se Aek ha provato ogni giorno a farmuovere un po’ i suoi piccoli atleti: venti metri quadri di spazio, però, e poco da inventarsi se non qualche piegamento. Quando sono spuntati i sub, i ragazzi han creduto d’avercela fatta. Ma non è finita finché non è finita, spiegano sempre gli allenatori ai loro giocatori, e lì s’è presentato il vero, grande problema: uscire. «Chi di voi sa nuotare?». Nessuno. Con Note, 15 anni, che aveva perfino paura dell’acqua. «Imparare a immergersi per loro è stato come un gioco e un modo per passare altro tempo», raccontano adesso i Navy Seals thailandesi che li hanno addestrati: da superare, più che mettersi la maschera a ossigeno o imparare i movimenti elementari, è stato il terrore d’immergersi nel nero totale dell’acqua melmosa. Fra rocce aguzze, detriti, topi. Con le tecniche di respirazione appena apprese. «Pensate alle vostre mamme che vi aspettano. A quanto saranno orgogliosi i vostri papà di vedervi». L’ultimo consiglio dei sub è stato ascoltato. E Mig, 13 anni, s’è aiutato con un pensiero in più: la bicicletta nuova. La aspettava da tanto. I nonni, finalmente, gliel’hanno comprata.